Un mucchio di ricordi molto cari e terrificanti

Distruggo tutto perché ho paura.

Louise Bourgeois

Gli arazzi della casa sul fiume

Spider Cell
Spider Cell, 1997

Al numero 172 di Boulevard Saint-Germain a Parigi, proprio sopra il rinomato Cafè de Flore, la notte di Natale del 1911 nacque Louise Bourgeois.
Suo padre Louis faceva l’architetto, si occupava del paesaggio e progettava giardini. La sua passione erano le statue di piombo del Sei e Settecento che andava recuperando un po’ ovunque nei suoi viaggi attraverso la Francia, l’Italia e la Spagna. Era originario di Clamart, un piccolo borgo alle porte di Parigi. La madre Josèphine Fauriaux, invece, restaurava gli arazzi antichi e dirigeva il lavoro ai telai delle operaie impiegate nell’impresa di famiglia. I Fauriaux venivano dalla cittadina di Aubusson sul fiume Creuse, una località della Francia centrale famosa per le cave di granito e, già da qualche secolo, appunto per la produzione di arazzi. Louise era la terza figlia femmina, anche se la primogenita era morta poco dopo la nascita. Il padre, che voleva un maschio, dovette mettersi l’anima in pace perché quella bambina, come gli ripeteva la moglie, era il suo ritratto. E lo sarebbe diventatadavvero, il ritratto di suo padre. Nella bella fisionomia del volto e nell’impulsività del carattere sentimentale. Nell’azzurro degli occhi e in un’inclinazione ossessiva per le buone maniere e i sentimenti di riconoscenza, per la dignità e l’integrità morale da preservare sopra ogni altra cosa. Come ebbe a dire lei stessa in un’intervista, Louise fu una Bourgeois educata bourgeoise.
Un anno dopo la sua nascita, la famiglia Bourgeois lasciò l’appartamento al terzo piano di Boulevard Saint-Germain per una grande villa appena fuori città, a Choisy-le-Roi sul fiume Bièvre. Qui Louise trascorse l’infanzia, il periodo più felice della sua vita, e a questo luogo sarebbe rimasta legata per sempre. L’altro luogo dal quale non si separò mai e che segnò profondamente il suo lavoro fu il villaggio di Antony sulla Senna, un altro piccolo borgo alle porte di Parigi, non lontano da Clamart e Choisy. I Bourgeois vi si trasferirono nel 1918 e Louise vi trascorse gli anni difficili e dolorosi dell’adolescenza. La presenza vicino casa di un fiume era necessaria per la lavorazione della lana degli arazzi, che doveva essere prima lavata e poi colorata. Per favorire il processo di tintura e di fissaggio del colore, l’alta percentuale di tannino contenuta nelle acque di questi fiumi era infatti particolarmente indicata. Ad Antony fece il suo ingresso nella vita dell’allora undicenne Louise (era il 1922) la figura dell’istitutrice e insegnante d’Inglese, Sadie Gordon Richmond. La giovane inglese dai capelli dorati, che si era trasferita in casa Bourgeois e lì viveva stabilmente, diventò l’amante del capofamiglia, la cui fama di incorreggibile donnaiolo non era una novità per nessuno, così rapidamente da far pensare che fosse quello il vero motivo della sua assunzione. La loro relazione, di cui tutti erano a conoscenza, durò all’incirca una decina d’anni. Esattamente fino al 1932, l’anno in cui morì la madre di Louise. Sei anni dopo la Bourgeois avrebbe lasciato la Francia per sempre.lady in waiting
Josèphine Fauriaux Bourgeois soffriva di enfisema già da parecchio tempo e Louise, incaricata di prendersene cura con coppette e cataplasmi, avrebbe in seguito fatto risalire la sua ossessione per le medicine e la familiarità con le terapie farmacologiche proprio a questa dolorosa fase della sua vita. La malattia polmonare della madre costrinse i Bourgeois a cambiare spesso residenza sempre alla ricerca di condizioni climatiche migliori, di sole e aria salubre, ricercate anche nel sud della Francia, a Nizza e a Le Cannet. Il tema della casa diventerà una costante nella vita e nell’arte di Louise tanto da elevarlo, insieme all’altro strettamente connesso della maternità, a suo leitmotiv principale. Anche nelle varianti di Donna-Casa (Femme-Maison), donna incinta, utero e pancia, tana e cella, ragno e ragnatela (Maman). Il padre Louis, al quale Louise tanto assomigliava e che fu senza dubbio la figura centrale della sua vita, scomparve improvvisamente nell’aprile del 1951. Nell’autunno di quello stesso 1951 la Bourgeois entrò in analisi. Il suo viaggio nei meandri della psiche sarebbe durato quasi ininterrottamente fino al 1985.
Ai tempi della vita ad Antony, la sorella maggiore Henriette avrebbe riportato lei pure un grave difetto fisico causato dalla gotta, una gamba di legno. Probabilmente fu anche per questa ragione che la povera Henriette non si sposò mai e Louise, che pensava spesso a lei e agli anni felici trascorsi a Choisy, si dichiarò sempre molto addolorata per il triste destino toccato in sorte alla sorella. Non è un caso che piedi e gambe, al pari di mani e braccia, immancabilmente sottili e come offesi, umiliati, ricorreranno spesso nel repertorio iconografico della Bourgeois alla stregua di incubi e segni visibili di una malattia non estirpabile. Più semplicemente, erano i tratti di una fragilità fisica congenita con la quale, prima o poi, sarebbe stato necessario venire a patti.
Nata sotto il segno astrologico del capricorno, dopo una giovanile infatuazione per la cosmografia, la matematica e la geometria euclidea (l’artista dichiarerà di avere sempre avuto bisogno di un mondo ordinato, una geografia di certezze rassicuranti, e di conoscere le dinamiche delle stelle), Louise decise di intraprendere la carriera d’artista come pittrice. Frequentò numerose Accademie e gli atelier parigini più in voga a quei tempi. Entrò in contatto con le personalità artistiche più famose del periodo, che in quegli anni gravitavano tutte intorno a Parigi. Fernand Lèger, per fare un nome, fu l’insegnante al quale Bourgeois si sentiva più legata e che, avendo subito ravvisato in lei una forte attitudine alla terza dimensione, la incoraggiò a rivolgersi alla scultura piuttosto che alla pittura.
cell-VIINel 1938 Louise sposò Robert Goldwater, lo storico dell’arte americano amante dei libri e della lettura. Questi la portò con sé oltreoceano, a New York, allontanandola definitivamente dalla cara, vecchia Parigi. Con Robert la Bourgeois ebbe due figli maschi, Jean-Louis e Alain. Il terzo figlio Michel, in realtà il maggiore per età, era stato adottato nel 1940 quando aveva quattro anni. Negli Stati Uniti, nel corso di una carriera ciclopica durata quasi settant’anni (più o meno dal 1938 al 2008), Louise ebbe occasione di attraversare pressochè tutte le maggiori correnti artistiche del Novecento e diventare uno degli artisti più potenti e significativi del XX secolo. Dal Simbolismo di fine Ottocento al Costruttivismo russo. Dallo stile trasgressivo e dirompente dell’amico Marcel Duchamp al Surrealismo francese. Dal Biomorfismo orfico di Jean Arp alle poetiche degli Invisibili di Yves Tanguy e Alberto Giacometti. Sono questi i movimenti artistici che contaminarono l’arte sempre eminentemente erotica e barocca della Bourgeois. Ma più di tutti, l’influenza maggiore la esercitarono le innovazioni plastiche del rumeno Constantin Brancusi, diventato famoso per le sue opere al contempo arcaiche e metafisiche. La scultrice si è spenta qualche anno fa (nel 2010), a un passo dai suoi cento anni. Oggi riposa con gli altri membri della sua famiglia nel cimitero di Sceaux, vicino Parigi.

Le Celle o ragnatele di metallo arrugginito

Le opere forse più mature e rappresentative dell’arte di Louise Bourgeois possono essere circoscritte alla produzione degli ultimi vent’anni, cioè tra la fine degli anni Ottanta e il 2008. Ciò non significa che i lavori precedenti, quelli che vanno dall’inizio degli anni Quaranta al periodo sopra indicato, siano di minor pregio o abbiano una valenza artistica inferiore. Ma soltanto che è all’ultimo ventennio di attività della scultrice che è ragionevole ascrivere la pienezza semantica ed espressiva delle sue creazioni. Sono principalmente due le tipologie di opere che risalgono a questo periodo, le Celle e le cosiddette sculture morbide.
Le Celle sono vere e proprie strutture scenografiche a grandezza naturale nelle quali è possibile entrare. E uscire, avrebbe precisato l’autrice. Sono environments a tutti gli effetti. Ambienti realizzati con estrema cura per ricreare le atmosfere drammatiche di un passato mai davvero archiviato. Illustrano alcuni episodi particolarmente dolorosi e carichi di tensione. A prima vista, approcciandole da lontano, le Celle sembrano gabbie per belve inferocite, cinte come sono da alte reti metalliche apparentemente impenetrabili. Oppure, medievali stanze delle torture. O ancora, recinti sacri nei quali sia possibile consumare cruenti sacrifici rituali e, così facendo, sperare nell’accesso a un’altra dimensione. Alla trascendenza.Cell III
Benchè verosimile che le Celle rappresentino questi diversi aspetti della vita dell’artista, su una scala più ridotta esse sono grandi scatole dei ricordi. Più vicine all’idea di vecchie cassapanche piene di giocattoli rotti e dimenticati, che a quella di lugubri reliquiarii. Tuttavia non c’è dubbio che suscitino un immediato senso d’inquietudine, di allarme perfino. Alcune Celle, come buie prigioni sotterranee, per esempio quelle della Bastiglia nei giorni terribili della Rivoluzione, sono effettivamente piuttosto macabre. Ma è forse raccapriccianti l’aggettivo che le definisce meglio e che può fare da nesso semantico fra queste opere della Bourgeois e quelle del poco più giovane Joseph Beuys, l’artista tedesco al quale la scultrice parigina è stata più volte assimilata. Queste sculture ambientali (o strutture esistenziali, come le definiva l’autrice) conservano intatta un’aura di mistero e di magia. Ma soprattutto, un’attitudine intrinseca a funzionare da esorcismi, da oscure quanto efficaci strategie di sopravvivenza. Proprio come accade nelle opere di Joseph Beuys.
Attraverso di esse l’autrice desiderava esternare e rendere visibili agli altri le emozioni che la tormentavano fino a toglierle il respiro, e il sonno. Quei lontani ricordi dell’adolescenza dai quali non riuscì mai ad affrancarsi e che la tennero legata e come pietrificata per tutta la vita. Con queste opere Louise cercò di oggettivare le sue ossessioni e le sue paure, circolari come il perimetro delle gabbie e spiraliformi come molte sculture. Ecco allora enunciato il tema principale della poetica dell’artista Bourgeois, la Paura. La paura che irrigidisce e rende simili al marmo e al granito, che impedisce di capire e di cambiare, che sbarra l’accesso all’apprendimento e alla vera conoscenza di sé. Quel sentimento che non fa che rialzare e rianimare i fantasmi del passato e con l’andare del tempo si trasforma in furia distruttiva, dolore fisico e infine in malattia. Quella paura che trasforma la vita in un enigma, difficile da gestire e sempre da decodificare. Ma Louise riuscì con il suo lavoro a esorcizzare almeno in parte le sue fobie e, per così dire, a tenerle d’occhio. L’altra sua arma, sempre pronta a scattare e a rendere l’artista tagliente e affilata come una Femme-Couteau (una Donna-Coltello), era l’umorismo nero o umorismo dada. Lavoro e ironia, oltre a offrirle una vita ricca di eventi mondani e riconoscimenti internazionali, le garantirono l’agognata sopravvivenza e soprattutto quell’integrità mentale che sentiva sempre sotto assedio.RED-ROOM-Louise-Bourgeois
Le Celle sono assemblaggi di opere realizzate dall’autrice (le sculture vere e proprie) e di oggetti sì trouvés e ready-made, ma sempre selezionati con estrema cura e molta eleganza (avrebbe osservato l’artista) al fine di ottenere il massimo della tensione espressiva che scaturisce dalle relazioni formali, cromatiche e compositive, innescate fra gli oggetti stessi. Sono fortemente voluti, allora, i diversi stadi di consunzione e logoramento della materia dovuti all’azione del tempo, le atmosfere plumbee e polverose (quasi da cappella cimiteriale), e gli effetti luministici da sordido sottoscala o vecchia soffitta abbandonata.
Le Celle contengono molti oggetti. Sedie di legno e letti di ferro arrugginito evocano rapporti familiari complessi, sofferenti, e situazioni di degenza ospedaliera. Arazzi logori, tende (le amate tende) mezze strappate, il modellino della bella villa di Choisy sulla quale incombe la ghigliottina del tempo. Mani di marmo contratte nella morsa della frustrazione e dell’impotenza sembrano chiedere sostegno e protezione. Gambe e piedi alla ricerca incessante di una terra materna sulla quale posarsi per l’ultima volta e finalmente riposare in pace. Vecchi vestiti intessuti di ricordi, e profumi che conservano il potere salvifico di richiamare al presente lo spirito della madre Josèphine, scomparsa quando Louise aveva solo vent’anni. Alambicchi e damigiane verdi, ampolle e sfere di vetro, rosse e blu (il colore preferito), sono anime svuotate di tutto e lasciate a galleggiare nello spazio. Ossessioni, angosce, sogni ricorrenti. Come gli specchi, che moltiplicano e deformano la realtà rendendola enigmatica e alienante. Le scale, spesso a chiocciola come spirali (un dichiarato omaggio al Barocco e a Gian Lorenzo Bernini), che indicano la possibilità sempre aperta di scendere o salire, di elevarsi spiritualmente o degradarsi nella materia. E i rocchetti di filo con tanto di aghi a indicare i ricami dei legami affettivi, i nodi e gli strappi che compongo (e decompongono) le trame della vita, così come i tentativi di ricucitura che ognuno compie per sopravvivere e alleviare i sensi di colpa. Scale e rocchetti sono elementi centrali nell’arte di Louise Bourgeois.
Louise-Bourgeois- temper tantrumLe sculture morbide, infine. Sospese nel vuoto, e a testa in giù. Spesso è solo di teste che si tratta, finite nel cesto della ghigliottina azionata dall’artista. Sì, perché la Bourgeois era solita torturare e fare a pezzi le sue creazioni con violenza inaudita, da mattanza al macello. È quindi facile imbattersi in torsi umani privati degli arti e poi in braccia e gambe mozzate, a loro volta isolate da qualche altra parte. Una carneficina, insomma, i resti di una strage. Le sculture morbide sono figure incantate che girano lentamente su se stesse. Appese a un filo come i mobiles di Alexander Calder, ne costituiscono l’opposto ontologico. Senza riferimenti spazio-temporali, senza una precisa collocazione storica, non si spostano di un centimetro né a destra né a sinistra. Sono questi i pupazzi intorpiditi, i cadaveri imbalsamati di Louise Bourgeois. Sono maschere d’angoscia, naturalmente, e di paura paralizzante. Ma sono figure realizzate in materiali morbidi e quindi amichevoli, caldi e familiari. Scampoli di stoffa stantia, lacerti di arazzi ripescati nei bauli di famiglia, trapunte consunte ricucite in maniera sapientemente approssimativa. Come fece col marmo e col bronzo, le due materie d’elezione, la Bourgeois realizzò con questi materiali morbidi le sue sculture più famose, le sculture erotiche. Può essere forse di qualche interesse rilevare come alla stessa operazione si dedicasse alcuni anni prima il connazionale Gaston Lachaise. Parigino anche lui e anche lui scultore, era un uomo ossessionato dalle tematiche legate al sesso (o alla sua assenza), all’erotismo femminile, e a una forma indissolubile di interdipendenza che si può sempre instaurare tra una moglie e un marito. O tra un padre e una figlia.

Simone Scaloni

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