Un coltello nella notte

stezaker5_525John Stezaker è un tranquillo signore inglese di mezza età, nato a Worcester nel 1949. È un uomo silenzioso e riflessivo e quando parla, lo fa a bassa voce. Dall’aria simpatica e bonaria, seppure screziata da un appena percettibile guizzo di follia che ogni tanto sembra balenargli nello sguardo, per guadagnarsi da vivere fa il professore di storia e critica d’arte al Royal College of Art di Londra. Tuttavia, capita che sia anche un artista concettuale appartenente alla prima generazione di concettualisti inglesi, quella che prese le mosse nella seconda metà degli anni Sessanta in reazione al predominio della Pop Art e continuò a essere attiva nel corso di tutti i successivi Settanta. Poco tempo fa, John Stezaker avrebbe contratto una brutta polmonite a causa, pare, dell’improvvisa e clamorosa ondata di successo, nazionale e internazionale, che l’ha travolto come una valanga in piena regola. Era sicuro che alla fine la fortuna avrebbe arriso alla sua arte, alla quale si dedica assiduamente da più di quarant’anni, e che critica e pubblico avrebbero concordato nel conferirle i meritati onori, soltanto non si aspettava che una cosa del genere potesse accadere mentre lui era ancora in vita.
Quella di Stezaker è l’arte del collage e non del fotomontaggio, come lui stesso tiene a rilevare. Infatti, laddove il primo genera immagini assurde, grottesche e spesso inquietanti, solitamente il secondo produce un repertorio iconografico leggibile, credibile e verosimile. Il collage come tecnica artistica non è certo una novità degli ultimi anni. Già agli inizi del Novecento gli espressionisti, i dadaisti e i surrealisti se ne avvalevano con intenti satirici e dissacratori, come se il collage fosse il mezzo ideale per dare forma e voce a slogan, bandi e proclami provocatori. Allora il bersaglio era a carattere eminentemente politico e sociale. Si usava il collage per cercare di ridimensionare, ridicolizzandole, le arroganze e le insufficienze dei rappresentanti del Governo, dei leader carismatici e in generale dei personaggi pubblici che godessero di una certa influenza. I primi nomi che vengono in mente, ormai assurti al rango di classici del genere, sono quelli di Juan Gris, Raoul Hausmann e Kurt Schwitters. Alcuni decenni più tardi arriveranno a misurarsi nella stessa tecnica anche i rappresentanti della Pop Art, come l’inglese Richard Hamilton e gli americani Tom Wesselmann e Jasper Johns.7bb30a5ecf52bd8f_stezaker-5
Tuttavia, furono Gerhard Richter e Sigmar Polke, due artisti entrambi fortemente influenzati dalla fotografia, a rappresentare per il giovane Stezaker agli esordi la principale fonte d’ispirazione e il punto di partenza ideale dal quale muovere nella ricerca di una propria cifra stilistica. Questo periodo coincise con la fine degli anni Sessanta. Nel 1968 l’allora diciannovenne John Stezaker s’iscriveva al primo anno della Slade Art School di Londra. Qui si diplomerà cinque anni dopo, nel 1973, l’anno della sua prima serie propriamente detta, intitolata Unassisted Readymades. Seguiranno Film Portrait degli anni Ottanta, le ormai famose Dark Star e Mask (la serie nella quale Stezaker ibrida immagini di volti di attori hollywoodiani con immagini di paesaggi e vedute, pervenendo a risultati di notevole suggestione surreale), e Third Person Archive (una serie consistente di piccolissime figure umane ritagliate da fotografie più grandi e poi isolate dal loro contesto originario). Infine, è del 2009-2011 la serie intitolata Marriage per la quale Stezaker, riscoperto dal mercato internazionale verso la metà degli anni Duemila, anche grazie alla mediazione della Saatchi Gallery di Londra, realizza nove ritratti di allucinanti individui-coppia, metà uomo e metà donna, nuovi freaks d’inizio millennio.
Oggi il collage non è più incaricato della funzione di satira socio-politica che aveva una volta. Con Stezaker prende un’altra via e si piega, come farebbe un foglio di giornale, alla creazione di una nuova iconografia, nella fattispecie costituita di ritratti di raccapricciante bellezza. Stezaker, parafrasando le sue stesse parole, approda a un imprevisto e felice connubio fra la tradizione romantica inglese e la componente più straniante e iconoclastica del Surrealismo europeo. Rendendo visibile l’aspetto invisibile di un volto, dice l’autore, quell’aspetto che sta sotto la superficie esteriore delle apparenze, spesso mi ritrovo a creare qualcosa che declina naturalmente verso l’orribile e del quale sono io il primo a rimanere sorpreso perché non era quello che avevo previsto. L’emergere di questa sintesi fra stili così diversi come il Romanticismo e il Surrealismo, è frutto dell’istinto, della passione di Stezaker per l’immagine stampata e la fotografia, e di una certa naturale attrazione romantica che lo porta a ricercare le vette e gli abissi, e che può essere considerata quintessenziale dell’animo e della sensibilità degli Inglesi. In merito, Stezaker ha dichiarato di essere sempre stato affascinato dalla forza irresistibile che hanno le immagini di attrarre, allettare e sedurre. Come il letale richiamo sirenico esercitato dal vuoto dei precipizi, che ci ipnotizza e rende immobili, al contempo elevandoci nel vortice della vertigine fino al punto sublime decae12f1-b57d-43ae-8f46-27bfa4cf415d-2060x1680i equilibrio fra la vita e la morte.
L’approdo naturale di questa predilezione, ci riferiamo qui alla preferenza accordata da Stezaker ai ritratti di attori e attrici dell’epoca d’oro del cinema americano, è costituito dalla genesi di figure che si mescolano, fondendosi e confondendosi le une nelle altre, da ormai quasi mezzo secolo d’incessante attività. Si tratta di una sorta di piccola operazione demiurgica da parte di un artista della carta che quando si riferisce alle sue creazioni ama parlarne come di figli adottivi. È così che nascono gli sconcertanti ibridi di John Stezaker, a furia di tagli e sforbiciate, contrapposizioni e giustapposizioni le più azzardate e intriganti. I volti che ne risultano sono improbabili incroci di capelli, nasi, occhi e bocche. Posizione sociale, genere sessuale, peculiarità individuali si amalgamano a formare creature meticce e irreali, ma sempre dotate di un’irresistibile carica seduttiva. Sono i vergini di John Stezaker, fragili identità cartacee della durata effimera di un fiammifero acceso.
Tutti quegli attori anonimi che non riuscirono mai a scalare le vette del successo, vengono chiamati dai collezionisti di cimeli e curiosità i vergini. Sono loro i volti che catturano l’attenzione dell’artista. Soprattutto, egli afferma, per quella velata sensazione di malinconia che sembrano sempre comunicare. John Stezaker fa a pezzi i suoi personaggi nel seminterrato della sua casa, situata nella parte settentrionale di Londra. Per tanti anni ha operato a notte fonda, sostenuto soltanto da una tazza di caffè lungo, particolarmente forte. È nelle primissime ore del giorno, ha dichiarato una volta l’autore, che a causa della stanchezza accumulata nella notte, improvvisamente l’inconscio prende il sopravvento. È esattamente quello il momento in cui si manifesta la creatività. Quando lavoro, continua, è come se fosse il mio altro io a lavorare per me. Io non faccio altro che assecondarlo e testimoniare al processo creativo in atto, non sono altro che un osservatore.
Stezaker si congeda con un’ultima battuta, dal tono tipicamente inglese. A metà fra il macabro e l’ironico ci confida, sempre a bassa voce, che c’è qualcosa di molto strano e quasi inquietante nel tagliare la carta. A volte ho come l’impressione di affondare il coltello nella carne.

Lucio Costantini

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