‘Lei non è una futurista. Lei è il futuro’. Questa la definizione che Marcel Duchamp ci ha lasciato della Baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven, artista rivoluzionaria e avanguardista del secolo scorso. Elsa von Freytag (1874-1927) fu amica e collaboratrice di Duchamp come di Man Ray, Djuna Barnes ed altri influenti artisti di inizio secolo. Negli Stati Uniti è considerata una delle prime dadaiste americane con notevole influenza sulla scena Newyorkese. Fu un’artista ad ampio spettro, spaziando dalla letteratura alla pittura, dalla scultura alle street-performance. La sua opera fu da subito guardata con sospetto e diffidenza per la sua natura controversa e provocatoria, in particolar modo per quanto concerneva la libertà sessuale della donna.
Nonostante la sua notorietà e la sua influenza in campo artistico, il suo personaggio è rimasto dimenticato, anche negli USA, per varie decadi e lo è tuttora in buona parte del vecchio continente. Il ritorno della Baronessa sulla scena artistica internazionale ha avuto luogo nel 2011 grazie alla raccolta ‘Body sweats: the uncensored writings of Elsa von Freytag-Loringhoven’ curata dalla studiosa americana Irene Gammel che ha scrupolosamente recuperato e portato alla luce gli scritti poetici della Baronessa.
Uno degli aspetti più immediati della Baronessa fu il suo look e il suo gusto estetico, percepibili dalle fotografie pervenuteci, alcune delle quali riportate qui. Reggiseni composti da lattine di salsa o tazze da tè, orecchini ricavati da posate, accessori chic recuperati in discariche industriali, piume di struzzo in quantità. Le cronache dell’epoca riportano gli episodi più bizzarri, come quando si presentò ad una serata di gala indossando come copricapo una gabbia per canarini con all’interno un volatile vivo. C’è molto del ‘ready-made’ che è passato alla storia come l’impronta di Marcel Duchamp.
Torniamo indietro di qualche decennio.
Elsa nacque in Germania da una famiglia alquanto modesta. Alcune fonti riferiscono che il padre, un operaio, abbia abusato dell’Elsa bambina sia verbalmente che fisicamente. Poco più che adolescente Elsa sentì immediatamente il richiamo dell’arte ed insistette per studiare in una scuola d’arte nei pressi di Monaco di Baviera. Nel 1901 si sposò con l’architetto berlinese August Endell con il quale intrattenne fin dal principio del matrimonio una relazione aperta molto chiacchierata. In seguito, nel 1910, partì per il Nord America con il suo amante, Paul Greve. Visse in diverse città tra cui Cincinnati e Philadelphia, dove guadagnava qualche dollaro posando come modella per pittori e fotografi. Nel 1913 arrivò finalmente a New York dove conobbe quello che sarebbe diventato il suo secondo marito, il Barone Leopold von Freytag-Loringhoven.
La neo-baronessa iniziò da subito ad utilizzare il titolo aristocratico come chiavistello per scardinare lo status borghese e nobiliare dell’upper class newyorkese. Stabilitasi nel Greenwich Village, che cominciava ad emergere come centro nevralgico dell’arte contemporanea, conobbe vari artisti emergenti ed affermati intrattenendo con loro relazioni di amicizia e di collaborazione sempre più strette. La Baronessa divenne ben presto una personalità molto nota nel Village, anche e soprattutto in virtù delle sue street-performance che lasciavano i passanti a bocca aperta. I cronisti ci riportano di come passeggiasse per il quartiere seminuda, coperta ad esempio di sole piume, recitando versi a sfondo sessuale.
Sembra che il primo film che venne realizzato da Man Ray e Marcel Duchamp fosse un omaggio ad Elsa, un corto-metraggio dal titolo ‘The Baroness shaves her pubblic hair’. Purtroppo di quest’opera non sono sopravvissuti che dei fotogrammi e qualche rara fotografia di scena. Da questo momento la collaborazione con Duchamp si fece sempre più stretta, tanto che alcuni storici dell’arte hanno perfino sostenuto che l’ispirazione per la storica ‘Fontana’ (l’orinatoio) provenisse dalla Baronessa. L’ipotesi è suffragata da uno degli scritti dell’artista in cui è riportato che l’idea per l’opera gli fu trasmessa da una sua cara amica.
La Baronessa fu accolta nei circoli culturali più in vista della città ed ebbe modo di conoscere autori del calibro di Wallace Stevence, Ezra Pound e William Carlos Williams, i quali la guardavano con un misto di ammirazione e diffidenza. I suoi eccessi, il suo gusto al contempo coraggioso ed oltraggioso attiravano su di lei un’enorme attenzione ma anche il timore di esserne travolti.
In campo letterario viene ricordata come una delle prime dadaiste americane, con un linguaggio dissacrante, l’uso di nonsense, il ricorrere di tematiche libertine se non apertamente sessuali.
Nella scultura fu pioniera dell’assemblaggio e del ready-made. Non frequentava cave di marmo ma discariche dove recuperava ogni tipo di oggetto che stuzzicasse la sua creatività.
Nel 1923 Elsa tornò a Berlino sperando di poter raccogliere fama e consenso anche in Europa. L’accoglienza che le fu riservata, al contrario, fu molto tiepida tanto da spingerla a lasciare la Germania alla volta della Francia per incipienti difficoltà finanziarie. In questo periodo venne molto aiutata dalla rete di artisti ed intellettuali che le voleva bene come una sorta di ‘figlioccia’ stravagante; Peggy Guggenheim le fu molto vicina.
Giunta a Parigi nel 1926 la sua salute iniziò a cedere sotto il peso delle continue difficoltà economiche. Le cronache riportano di una sempre più precaria stabilità mentale. Morì nel 1927 per soffocamento da gas lasciato ‘inavvertitamente’ aperto durante la notte. Già all’indomani dalla morte le voci di un plausibile suicidio iniziarono a rincorrersi ma le circostanze della morte non furono mai ulteriormente chiarite.
La Baronessa Elsa è sepolta a Parigi, nel cimitero di Père Lachaise.
Elsa von Freytag è stata indubbiamente uno dei protagonisti più ragguardevoli del movimento modernista, in un periodo storico in cui anche i più trasgressivi degli artisti mantenevano un certo approccio ‘maschilista’ alla cultura e all’arte. La Baronessa Dada si considerava un’opera d’arte vivente, pronta a rompere ogni tradizione e imposizione della sua epoca. Fu un’avanguardista, una ribelle, una femminista ante-litteram.
La sua opera è rimasta per lungo tempo sepolta dalla polvere fino a quando nel 1996 il Withney Museum di New York non le ha restituito la giusta luce con una retrospettiva di enorme successo. Da quel momento e nei successivi 15 anni la popolarità della Baronessa è andata nuovamente crescendo e la sua figura è stata di ispirazione per film-makers, fotografi, designers e letterati.
Una delle sue poesie più famose è ‘A dozen cocktails please’, di cui riporto i primi versi, una sorta di brindisi in onore della Baronessa Elsa:
No spinsterlollypop for me– yes– we have
No bananas I got lusting palate– I
Always eat them– — — — — — —
They have dandy celluloid tubes– all sizes–
Tinted diabolically as a baboon’s hind-complexion.
A man’s a–
Piffle!
Will-o’-th’-wisp! What’s the dread
Matter with the up-to-date-American-
Home-comforts? Bum insufficient for the
Should-be wellgroomed upsy!
That’s the leading question.
There’s the vibrator– — —
Coy flappertoy! I am adult citizen with
Vote– I demand my unstinted share
In roofeden– witchsabbath of our baby-
Lonian obelisk.
What’s radio for–if you please?
“Eve’s dart pricks snookums upon
Wirefence. ”
An apple a day– — —
It’ll come– — — —
Ha! When? I’m no tongueswallowing yogi.
Progress is ravishlng–
It doesn’t me–
Nudge it —
Kick it–
Prod it–
Push it–
Broadcast– — — —
That’s the lightning idea!
S.O.S. national shortage of–
What ?
How are we going to put it befitting
Lifted upsys?
Psh! Any sissy poet has sufficient freezing
Chemicals in his Freudian icechest to snuff all
Cockiness. We’ll hire one.
Hell! Not that! That’s the trouble– —
Cock crow silly!
Oh fine!
They’re in France– the air on the line–
The Poles– — — — — —
Have them send waves– like candy–
Valentines– — — —
“Say it with– — —
Bolts !
Oh thunder!
Serpentine aircurrents– — —
Hhhhhphssssssss! The very word penetrates
I feel whoozy!
I like that. I don’t hanker after Billyboys– but I am entitled
To be deeply shocked.
So are we– but you fill the hiatus.
Dear– I ain’t queer– I need it straight — —
A dozen cocktails– please– — — —
Helmut Schilling
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