Trascendere il sentimento con l’hi-tech – Valerio Francola

Bill Viola può definirsi oggi, a 62 anni, uno dei maggiori rappresentanti della generazione di artisti che ha legato la propria riflessione artistica all’uso dei nuovi media e tecnologie. Nato a New York nel 1951, dopo essersi laureato nel 1973 alla Syracuse University, ha orientato fin da subito il suo percorso professionale verso importanti esperienze di video e visual art. In particolare tra il 1974 e il 1976 assume il ruolo di direttore tecnico di Art/tapes/22, importantissimo centro italiano di produzione di Videoarte degli anni ’70 attraverso cui ebbe modo di entrare in contatto con i massimi esponenti di quell’ambito artistico: Nam June Paik, Bruce Nauman e Vito Acconci. Da questa esperienza in poi Bill Viola si impone sempre più come figura di spicco nel panorama artistico ricevendo recentemente (2009) il Premio Internazionale di Catalogna, Viola ha ricevuto numerosi altri riconoscimenti, tra cui il Rockefeller Foundation Fellowship nel 1982, il Guggenheim Foundation Fellowship nel 1985, il Polaroid Video Art Award nel 1985, il National Endowment for the Arts Awards nel 1978, 1983, 1986 e il 1989. Oltre a questi ha avuto l’onore di essere stato oggetto di una grande retrospettiva al Whitney Museum of American Art, nel 1998, e di essere scelto per rappresentare gli Stati Uniti alla 46esima Biennale di Venezia.

La sua arte si occupa in gran parte di temi che coinvolgono la coscienza umana e l’esperienza (la nascita, la morte, l’amore, l’emozione e forme di spiritualità umanistiche). Nel corso della sua carriera la sua ispirazione ha preso molto spesso spunto dal suo profondo interesse per le tradizioni mistico-religiose, specialmente per il Buddismo, la religione cristiana e quella islamica, il cui legame diventa evidente nell’espressione di un linguaggio artistico trascendentale di alcune sue opere: utilizzando un rigoroso strutturalismo, un’indagine ritualizzata di fenomeni visivi e acustici, illusione e realtà, egli raggiunge infatti un’articolazione poetica caratterizzata da forme di visionaria trascendenza. “Poesie visive, allegorie del linguaggio della percezione soggettiva” è il modo con cui Viola sintetizza i suoi video, tra cui opere importanti come ‘Chott el-Djerid’ (1979), ‘Hatsu Yume’ (First Dream) (1981) e ‘I Do Not Know What It Is I Am Like’ (1986).

Accanto a questo è molto forte nella sua formazione artistica l’influenza dei soggetti e delle tecniche artistiche proprie dell’arte devozionale medievale e rinascimentale. I suoi lavori sembrano quasi degli esercizi spirituali da svolgere in gruppo, e contribuiscono a vivere in prima persona il significato dell’essere umano esplorando costantemente varie forme di dualismo dietro cui si fa forza l’idea secondo cui non si può capire una determinata cosa se non si conosce il suo opposto (vita/morte, luce/buio, agitazione/calma etc.)

Le sue installazioni e video si distinguono per una confluenza di risonanza allegorica e controllo virtuosistico della tecnologia. Viola esplora sistemi temporali e di ottica video con l’obiettivo di esaminare metaforicamente le modalità di percezione e cognizione dell’uomo, e in ultima analisi, tracciare una ricerca simbolica del proprio essere. La luce e il tempo sono i temi essenziali su cui Viola ruota la sua riflessione metafisica, un percorso in cui spesso resi in plastica sono usati per definire un linguaggio simbolico dell’inconscio, microcosmo e macrocosmo, paesaggi interiori ed esteriori. I suoi video, che si aprono senza il supporto della lingua parlata, sviluppando trasformazioni emblematiche di immagini archetipiche, suggeriscono sogni inconsci e luoghi primordiali. Tecniche di manipolazione video come il time-lapse, slow motion, inversioni, durata etc. acquistano il significato metaforico di cicli temporali che evocano il passaggio dal giorno e alla notte, dalla morte alla vita.

Nelle sue prime performances, tra cui ‘Migration’ (1976) e ‘The Space Between the Teeth’ (1976), Viola ha iniziato una mappatura sistematica di dispositivi ottici specifici (macro obiettivo, zoom) per esplorare i modi di vedere e di percepire la propria interiorità. In ‘The Reflecting Pool’ (1977-80), descritta dallo stesso autore come “tappe di un viaggio personale attraverso le immagini di transizione”, Viola impiega sempre più sofisticate manipolazioni del tempo e della luce come costrutti metafisici e alterazioni e trasformazioni della realtà e della rappresentazione con l’intento di turbare le aspettative visive e temporali dello spettatore abbandonandolo in una dimensione di disorientante casualità.

Una delle espressioni culminanti del progetto artistico di Viola, ‘I Do Not Know What It Is I Am Like’ (1986) sviluppa perfettamente il concetto di missione epica che trascende la realtà umana e stimola la conoscenza di sé attraverso una rappresentazione simbolica della coscienza e della spiritualità. Questo lavoro, altamente allegorico, include una visione che è emblematica del progetto artistico di Viola: un’immagine di sé riflessa negli occhi di un gufo.

Nel percorso artistico di Bill Viola assume una dimensione fondamentale anche l’incontro con la sua futura moglie, la regista Kira Perov che lo invitò 1977 ad esporre le sue videocassette presso la Trobe University di Melbourne, in Australia. Dopo il matrimonio del 1978 Viola e Perov si trasferiscono a Long Beach, in California, dove vivono tutt’ora, e dal1981 intraprendono una collaborazione permanente lavorando e viaggiando insieme e stabilendo un brillantissimo rapporto di studio e gestione della produzione di elaborati programmi di esposizione artistica. Un esempio importante è la mostra “Reflections” organizzata a Villa Panza (Varese) dal Fondo Ambiente Italiano (Fai) curata proprio da Kira Perov. Per dirla con Bill Viola, il percorso museale si configura come un viaggio attraverso “spazi intimi di esperienza” dove “reflections” possono essere intese come riflesso in uno specchio o riflessione su se stessi. “Una delle caratteristiche degli esseri viventi  –  racconta Bill Viola  –  è di possedere molti io, identità molteplici fatte di momenti contraddittori e capaci di trasformazioni all’istante. Questo per me è la cosa più eccitante del lavoro dell’artista. Mi ha insegnato che il vero materiale grezzo non sono la telecamera e il monitor, ma il tempo e l’esperienza stessa, e che il vero luogo in cui esiste l’opera non è la superficie dello schermo, ma la mente e il cuore della persona che la osserva. É là che tutte le immagini vivono”. Nella mostra a Villa Panza viene esposta per la prima volta in Italia l’opera ‘The Sleepers’ (1992), dove figure di dormienti sono proiettate su schermi in bianco e nero posti in fondo a sette barili di latta bianca pieni di acqua. Si tratta di immagini che si possono osservare da una certa distanza e solo attraverso il liquido trasparente. In un’altra opera esposta, ‘Nantes Triptych’ (1992), Viola esprime tutta la propria sensibilità per la tradizione pittorica europea: l’artista recupera il trittico della pala d’altare trecentesca per raccontare l’atto della nascita, quello dell’ultimo respiro, e al centro, una figura sospesa in acqua come pausa tra un tempo e uno spazio. O ancora in ‘Emergence’ (2002) dove Bill Viola prende in prestito il tema del Cristo al Sepolcro ispirandosi ad un affresco di Masolino da Panicale.

Ma è l’essere umano il tema costante della sua ricerca: protagonista ad esempio in ‘The Innocents’ (2008) o in ‘Three Women’ (2008) dove l’artista indaga il nulla, la condizione dalla quale veniamo e alla quale faremo ritorno. Sono ancora una volta le parole di Bill Viola a dare la chiave di lettura migliore: “Una delle cose che la videocamera mi ha insegnato è stata quella di vedere il mondo, lo stesso mondo che vedono i miei occhi, nel suo essere metaforico e simbolico. Questa condizione è infatti sempre presente, latente nel mondo che ci circonda”. Il contributo di Bill Viola alla storia dell’arte contemporanea segna un punto fondamentale di rottura e di conseguenza di rilancio della riflessione artistica. La sua opera, accolta con scetticismo negli anni ’70 ed oggi ampiamente riconosciuta come tra le più brillanti interpretazioni dell’evolversi dei tempi moderni, rappresenta un fantastico esempio di integrazione tra passato e presente, nel costante tentativo di indagare l’essere uomo sfruttando le nuove tecnologie di cui l’arte ha saputo dotarsi. Probabilmente servirà ancora del tempo per comprendere del tutto la profonda e reale importanza di quanto introdotto dalla riflessione artistica di Bill Viola, ma è sufficiente avere la fortuna di poter ammirare una mostra dedicata all’autore americano per capire fin da subito di essere di fronte ad un genio artistico assoluto.

BillViola

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*