Topografie dell’assenza – Michela Pistidda

Ricreare con la fantasia lo spazio urbano per sopravvivere all’esclusione sociale

George Jones, The Banquet in the Thames Tunnel

Perdere la strada, perdere l’orientamento nella “foresta di simboli” che è la realtà urbana per antonomasia: la metropoli, Londra. Toccare i margini e precipitare nella non esistenza degli esclusi: diventare l’Altro, lo straniero, il corpo estraneo nell’organismo della società. E tuttavia è possibile smarrirsi senza perdersi del tutto; praticare la psicogeografia, ovvero indagare lo spazio urbano percorrendolo a piedi, inventare nuove modalità di creazione e riconquista della città, forgiare significati altri e sovvertire quelli predominanti sono metodi che permettono di ristabilire il nesso tra individuo e comunità, di varcare lo strappo nella rete opprimente del discorso egemone, di trovare l’uscita dal dedalo intricato di segni e metafore metropolitane.

Queste strategie rivoluzionarie di rilettura e ricostruzione creativa del corpo urbano come resistenza alla marginalizzazione vengono messe in pratica nella Londra di Neverwhere, miniserie TV trasmessa dalla BBC nel 1996 e nel 2000 diventata un libro fantasy di grande successo tradotto e pubblicato in Italia da Fanucci (Neil Gaiman, Nessun dove). Al centro della narrazione è la società di Londra Sotto, una città parallela che si sviluppa al di sotto della Londra “istituzionale” e che dà rifugio ai senzatetto, ai reietti, ai vagabondi, a tutti i soggetti marginali ed emarginati. In questo non-luogo il protagonista, Richard Mayhew, si trova suo malgrado catapultato: perde casa, lavoro, affetti; diventa letteralmente invisibile; e insieme a un gruppo di personaggi si trova costretto a vagabondare nel sottosuolo, in cerca di un mostro mitologico annidato nelle viscere della città.

Sotto un’apparenza leggera e fantastica di fiaba metropolitana, la narrazione si presta a infiniti piani di lettura e chiama in causa concetti e categorie imprescindibili per analizzare la realtà postmoderna, in primis il ruolo della città e il rapporto tra spazio urbano e spazio umano, ossia la società e l’individuo. Infatti, se la città è un testo, un sistema di segni simile a un linguaggio, come sostiene Barthes, al tempo stesso è anche un palinsesto, un manoscritto su cui vengono scritti, cancellati e iscritti altri significati politici, sociali e culturali. Impossibile da mappare per la sua intrinseca ipertrofia spaziale e semiotica, la metropoli viene a perdere il ruolo di punto di riferimento della collettività, della memoria, dell’identità. Anche la concezione del tempo in quanto entità diacronica lineare, misurabile e quindi affidabile, muta e cede alla soggettivizzazione, alla manipolazione, alla distorsione in una miriade di percezioni personali contrastanti. I confini tra città reale e immaginaria si fanno porosi, mentre nuovi divieti, barriere, spazi proibiti vengono imposti attraverso il dispiegamento di un panopticon moderno, realizzato con una pletora di sistemi sofisticati, ad esempio gli impianti di telecamere a circuito chiuso.

La ristrutturazione continua dello spazio urbano promossa dalle dinamiche del capitalismo intacca quindi i tessuti molli della città: narrazioni, immagini, storie, ricordi, sogni, gli individui stessi. La malleabilità del corpo urbano porta con sé la malleabilità del corpo sociale: la norma non è più il convivere comunitario, ma la polverizzazione dinamica in una miriade di monadi isolate e irrelate. Lo spazio urbano viene investito dalla logica dell’usa e getta, è prodotto da consumare ed eliminare; lo stesso avviene con il ruolo sociale degli individui. In un corpo urbano che appare come il risultato di una operazione di collage spazio-temporale simile al montaggio cinematografico, i soggetti umani si trovano spiazzati. Il carattere della metropoli apre infatti la strada a infinite possibilità di costruzione del sé, ma può dall’altro lato favorire il disorientamento, l’esclusione, l’alienazione e l’espulsione dal consorzio civile. Chi incarna l’alterità, in qualsiasi modo essa si declini, viene scartato, emarginato e si perde: scompare.

metropolitana, 1890

E finisce a Londra Sotto. Londra Sotto, per dirla con Foucault, è un’eterotopia, ossia uno spazio fuori dallo spazio che contiene tutti i luoghi reali di una cultura e li collega rappresentandoli, contestandoli e sovvertendoli; e un’eterocronia, ossia un luogo fuori dal tempo dove il tempo si accumula e vengono riassunte tutte le epoche. Londra Sotto costituisce il nuovo cuore di tenebra di retaggio imperiale, il margine per antonomasia dove si annida l’alterità, l’epitome dello scarto, delle macerie, dell’invisibile. Equivale al subconscio di Londra, che è composto dai sedimenti della storia di grandi e umili, da ricordi dimenticati e sogni abortiti, da trame letterarie e reticoli culturali, da archetipi antropologici e topoi letterari. E per tracciare le geografie dell’assenza, è appunto necessario adottare il punto di vista degli “scarti” della società, ossia i soggetti e le comunità che vivono i margini. Proprio per questa posizione eccentrica, gli abitanti di Londra Sotto hanno accesso al sottotesto della metropoli, invisibile deposito simbolico e metaforico dove si sovrappongono silenziosi i secoli, tra le stazioni abbandonate della metropolitana, i tunnel antiaerei della seconda guerra mondiale, la rete fognaria, i fiumi sepolti e le fosse comuni.

Per riappropriarsi dello spazio urbano gli abitanti di Londra Sotto praticano la flânerie dello scarto, perché solo attraversando e conoscendo la spazzatura simbolica, recuperando il passato dimenticato e cancellato, si può accedere a una comprensione maggiore della città, del corpo sociale e degli individui; inoltre si dedicano al détournement, ossia strappano al contesto di appartenenza luoghi istituzionali, punti di riferimento geografici e culturali, tradizioni consolidate per riempirli di nuovi scopi e significati. Ad esempio il Mercato Fluttuante, il più grande bazar delle comunità nomadiche di Londra Sotto, richiama la pratica delle TAZ, occupazioni temporanee di aree urbane altrimenti interdette. Di volta in volta si tiene di notte in uno dei cosiddetti “spazi dell’autorità”, ovvero luoghi ad altissima carica simbolica, accessibili al pubblico durante il giorno e carichi di un ruolo funzionale al potere politico o economico: i grandi magazzini Harrods, l’incrociatore HMS Belfast e perfino il Big Ben. I territori simbolo del potere da cui certe comunità sono state espulse vengono quindi rivendicati da queste stesse comunità e ricolonizzati con un sistema altro di valori e di senso.

mappa della metropolitana, 1933

La riappropriazione passa anche attraverso la ridenominazione: edifici, quartieri, stazioni della metropolitana assumono a Londra Sotto un nuovo nome grazie a procedimenti ludici, calembour, analogie, assonanze. Ad esempio, il distretto di Knightsbridge diventa “Night’s bridge”, ovvero “il ponte della notte”: presso l’omonima stazione della metropolitana c’è un ponte che si protende sopra un abisso di tenebra. Per tracciare nuove geografie del potere è utile anche dare vita a un processo di metamorfosi in molteplici direzioni. Il corpo umano diventa corpo urbano e viceversa: la stazione di Seven Sisters dà vita a sette sorelle guerriere. Il confine tra reale e immaginario evapora, tanto che sotto stazione della metropolitana di Islington, chiamata “Angel”, si nasconde un arcangelo caduto, Lucifero postmoderno, mentre i treni della metropolitana assomigliano a creature selvagge simili ai vermi di Dune. Infine, anche la distinzione tra umano e animale sfuma: la comunità zoomorfa dei “parla-con-i-ratti” è asservita ai topi antropomorfi di Londra e come suggerisce lo stesso nome vengono meno anche le barriere del linguaggio.

Onnipresente è la dimensione del viaggio. I personaggi attraversano spazio e tempo e vivono il nomadismo, l’adesione incondizionata alla scissione tra identità e luogo, che paradossalmente consente di esercitare un potere maggiore sul territorio. Gli abitanti di Londra Sotto, infatti, non possono essere controllati, circoscritti, disciplinati nello spazio. La mobilità che incarnano elude qualsiasi panopticon ed è in aperta contestazione delle ossessioni stanziali contemporanee. Viaggiare, più precisamente camminare, è l’unico sistema per entrare genuinamente in relazione con la metropoli postmoderna: per comprenderla è necessario esperirla fisicamente, percorrerla, camminarla.

Inventando nuovi significati simbolici e pratiche sociali con un uso sovversivo degli spazi e dei tempi del margine, gli abitanti di Londra Sotto ci insegnano che lasciare briglia sciolta alla fantasia e riplasmare di nuovi sensi il reale sono le uniche modalità di sopravvivenza allo spaesamento e all’alienazione della condizione postmoderna.

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