Ci hanno negato la verità dei nostri corpi, alterandola.
Siamo state tenute nell’ignoranza delle nostre zone più segrete.
Adrienne Rich
Che Fusibilia prediliga la scrittura delle donne e i temi ad essa connessi è ben ravvisabile dal catalogo editoriale e dalle attività associative svolte, fra le ultime il 1° Festival internazionale della poesia al femminile “Eros e Kairos”, realizzato per il Museo di Villa Giulia a Roma.
Così, dopo la buona riuscita delle precedenti iniziative editoriali “Caro bastardo ti scrivo…” e “Sono bella, ma non è colpa mia…”, abbiamo proseguito ad incoraggiare proposte tese a sviscerare tematiche poco visitate, come la relazione con il corpo e l’orgoglio per la propria sessualità, chiedendo alle donne di affrancarsi dall’idealizzazione sentimentale dell’amore, per entrare di peso nell’eros del proprio corpo, divenendo consapevoli di ogni suggestione che ne derivi.
La sollecitazione a raccontare l’orgoglio della propria sessualità, attraverso lo strumento della poesia, aveva come finalità l’‘enunciazione’ di un teorema (la cui definizione, ricordo, è ‘verità dimostrabile’), cioè la dimostrazione creativa della libido soggettuale femminile, in funzione di una percezione della propria immagine interiore e della propria pulsione erotica, come fase propedeutica alla stima del sé, come riconsiderazione dell’archetipo femminino, immanente in tutti gli aspetti naturali, e come custodia dell’erotismo femminile, questa dimensione umana da sempre oppressa e sottaciuta, anche annientata violentemente dal predominio, spesso truce, della cultura maschilista.
Dai contributi pervenuti in risposta al concorso letterario “Teorema del corpo – Donne scrivono l’eros” articolato in due sezioni, Desideranti e Amanti, affinché ciascuna focalizzasse al meglio l’interpretazione del proprio erotismo, è scaturita una selezione di cinquantasette testi, premiando sia il valore letterario che l’esplicitazione degli argomenti affrontati.
Il volume, di prossima pubblicazione, sarà presentato da una nota del poeta Beppe Costa e comprenderà una sezione fotografica di Sabrina Manfredi, che firmerà anche la copertina.
A seguire, un’anteprima per Diwali
Da Teorema del corpo – Donne scrivono l’eros, FusibiliaLibri, collana Fibre-collettanee di poesia, in preparazione.
Giovanna Iorio
Le carezze – non amo che quelle.
Ho il pelo di un gatto.
Lucido e nero- un soffio
d’aria lo solleva. Le tue parole
posale sulle mie labbra.
Solo suoni liquidi. Solo il seme
della tua voce. Scioglilo.
Solido ti pesa dentro.
Come un macigno. Parliamo.
Questa lingua liquida che viene
dall’età della pietra.
Elena Ribet
Bocca baciata e perdonata
bocca baciata e perdonabile
bocca baciata e ribaciata
bocca sopraffina ribaciabile
bocca da averne sete per mille anni
senza inganni, solo implorata.
La mia è un’ostrica da mangiare
cervella da svalvolare
cavità vuota da colmare
da far trasbordare
il tuo sale, il tuo sale.
Io sono un’ostrica chiusa male
un balbettio di viole,
una conca di petali
che ogni volta si deflora
ogni ora, ogni ora.
Vediamoci in un posto comodo
dove lasciarsi andare
ma anche su una colonna, in piazza
nessun istinto da controllare.
Un giorno l’ho fatto su un albero
il tronco anch’esso mi toccava
mi stritolavano i rami
come spine di miele morbido
ogni gesto, non saprei dire,
se fosse natura, umanità o fantasia
se il corpo fosse di corteccia
il cielo resina di baci
se l’albero fossi tu.
Laura Cingolani
L’INGEGNERE
Ingegnere: smontami pezzo a
pezzo quelle nostre impetuose
vene, scaldami verso le
stelle e presso le crocifisse e
giocose stalle, stallo,
stallone mio! monta con furore di
meccanismo la mia animale frusta dai
tramonti ai cadaveri, tutto il furioso
mare mio sbatti con la costernazione che
sale e frutta: io mi scontrerò brusca
tra le tue braccia aperte come vetrine
allestite, mentre tu rimonterai pezzi
miei, e tra le calde ascelle te ne potrai
danzare, danzare, come la fresca
neve sopra lo specchio del
mare, del mare, ricoprirai di terra le mie
centocinquanta bare, ridonerai
ristoro all’errabonde e tante
parole amare mie ma
non ti saprò dirottare
non muoverai la mascella
non ne vorrai parlare
delle tue qualità
piuttosto rare
Silvia Favaretto
QUESTA NON È UNA POESIA
Sei l’amante di una poeta
cos’altro ti aspettavi?
Che ti parlassi di rondini e nubi?
Sto solo qui ad aspettare che tiri fuori
la tua penna dall’inchiostro biancastro
e che tu mi scriva de dentro
la tua poesia,
inondandomi di versi
che sia la mia pelle a leggere.
Lo vedi? Sei l’amante di una poeta,
cos’altro ti aspettavi?
Silvia Rosa
PORNO-GRAFIE [UNO]
Lei divarica le cosce, in ginocchio,
le due metà perfette della stessa luna
i due mondi identici ricurvi nello spacco
in verticale, nella piega rosso vivo
che separa cielo e terra e s’interrompe
– una vertigine -, al centro, un solco
tra la seta lucida di pelle, contratto
che respira appena, trema e poi si schiude
Lui a un passo – indietro – teso è il vertice
preciso che si espone del corpo in cerca
di una presa, è il battito a goccia cieca
del cuore, ritmico, dentro e accelera, ancora
fino in fondo, nell’angolo più scuro tenero
della notte che si fa nido tiepido e accoglie
il desiderio, tutto, e poi la luce, un bagliore
arcobaleno ché piange lacrime di zucchero
il respiro denso in un gemito, all’improvviso
lenta implode la stretta delicata ripetuta
come un piccolo risucchio, come un’onda
che ritorna oltre il bordo netto dell’azzurro,
risale l’ombelico, il grembo che si appunta
in un sussulto, e spiove sulle labbra il segno
morbido di nuvola – un passaggio di candore –
da macchiarsi le dita, e poi il vagito atteso
della resa, l’alba assoluta del suo nome (un’eco)
Lei risponde silenziosa, gli occhi trasparenti, chiusi.
Michela Pistidda
io qui carne
io qui spirito
io qui non più carne né spirito
alle mani tue solo carne
negli sguardi tuoi solo spirito
naufraga di membra
e orfana di memorie
io Giuditta acefala
a brandire d’Oloferne
grondante la testa
io qui carne mi fingo
io qui decollata carne
a recitarmi carnefice
occlusa vittima
dei sensi cieca
a farne ragione ostinata
io qui me stessa
io non più me stessa
a deflagrare
di nulla e vanire, vanire
e dileguare la carne
nella carne obliterare
la carne con la carne
destituire
d’ecumenico nulla rappresa
riaffermo labile il reale
col sapore ottuso di mare
e delle tue viscere
il calore nel calore
delle mie viscere
Maria Grazia Anglano
Vieni a contarmi il costato.
Vieni ad affondare le dita
nel vuoto
tra quelle appendici.
Tasta il suo profondo
fermati, indugia, ascolta.
E poi torna a contarle
ancora ad una ad una
a scorrere con le dita
nell’assenza cedevole
e sulla costola innervata.
E dimmi…
Dimmi se hai udito
in altre parole
la tenerezza che erompe
da dentro.
Se son fioriti abissi
fra le tue mani.
Se solo per un attimo
un attimo solo
hai visto il mio vero volto.
Sylvia Pallaracci
tu mi guardi e non sai con che occhi
la carne è cominciata dove mi hai lasciata
andare, questa sostanza che mi sparge
a impronte di tremore sul troppo certo
di te scoperto
e tutto è quando niente
spazio rimane di cercarci
tutto è sudare e toccare, tutto è sentire
naufragare l’acqua nei nostri corpi
Antonietta De Luca
CORPO
Prendeva corpo ogni emozione
culminato il far della luna oltre la serranda. Diventava acqua
sciogliendosi fluida in ondate di movimento, nessuna uguale
all’altra. Era sete, era fame o rifiuto
e negazione e, svegliandosi, pendeva
flaccida o risaliva col suo strato
di carne, di corpo. Porto
bracciali lungo gli arti zingareggiando
fluido nell’aria, profumo di lavanda
mentre afferro coi miei muscoli
il sentire dell’anima e lo gonfio
col respiro nella pancia del mondo.
Il corpo è un essere multilingue. Parla con il suo colore e la sua temperatura, l’ebbrezza del riconoscimento, lo splendore dell’amore, le ceneri del dolore, il calore dell’eccitazione, la freddezza della mancanza di convincimento. Parla con la sua lieve danza, con il battito accelerato del cuore, con il crollo e la ripresa della speranza.
Clarissa Pinkola Estes
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