
‘Tutta la nostra opera può essere intesa come un grido di libertà’

Land: terra, territorio, paesaggio. Quello offerto dalle multiformi variazioni della natura, o quello realizzato dall’uomo; ancora, le architetture, quelle storiche e millenarie, e quelle simboliche e cariche di significato.
È in questi territori che si muove la creatività di Christo e Jean-Claude, coppia simbolo del lavoro sulla percezione visiva dello spazio. È la Land Art, l’arte che si cala nel paesaggio e lo trasforma, transitoriamente, per restituirlo uguale a se stesso eppure completamente nuovo. Opere imponenti e complesse, che a partire dagli anni ‘60 hanno cambiato i connotati di luoghi famosissimi oppure pressoché sconosciuti fino ad allora.
Il mondo accademico dell’arte per decenni è rimasto sospettoso e chiuso di fronte alla portata innovativa e mediatica di queste opere; il mercato dei galleristi e dei collezionisti, disorientati dal non poter acquistare né possedere le opere per dare loro un valore monetario, ha faticato ad entrare in sintonia con la Land Art. Ci sono voluti tempo e impegno perché questa forma di espressione venisse capita e accolta nell’olimpo dell’arte ‘ufficiale’.
Siamo sul finire degli anni ‘50, Christo Vladimirov Yavachev, di origine bulgara, cresce in una famiglia di imprenditori tessili. Lascia la terra natìa, stretta nella morsa dello stalinismo più intransigente, e arriva in Austria, a Vienna, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Non completa gli studi, è irrequieto, si sposta nuovamente, prima in Svizzera, a Ginevra, poi in Francia, a Parigi. Qui conosce quasi subito Jean-Claude, sua futura sposa e partner artistica. Aderisce, seppur con scarso convincimento, alla corrente del Nuovo Realismo di Yves Klein, Mimmo Rotella, Arman.
Si avvicina alle arti plastiche, alla scultura; il suo genio e il suo vissuto familiare gli suggeriscono di investigare le potenzialità espressive dei tessuti. Secondo una poetica non lontana da quella della Pop Art, Christo ha l’intuizione di attribuire dignità artistica a oggetti di uso quotidiano e di scarso valore intrinseco: tutto può diventare scultura, se avvolto da tessuto e legato con lo spago o con nastri di vario tipo. Le sue prime creazioni piacciono al mercato, vendono, riscuotono interesse, e Christo capisce che la strada è quella giusta, inizia a pensare a realizzazioni ambiziose, vere e proprie sfide da un punto di vista concettuale e materico.

Il 1961 è l’anno in cui i coniugi Christo realizzano la loro prima collaborazione a Colonia, rivestendo di tessuto pile di barili al porto industriale.
In questi anni i Christo iniziano una nuova serie di lavori, consolidando e allargando l’uso del tessuto a nuovi supporti. Rivestono di stoffa vetrine, porte e finestre: nascondono ciò che c’è dietro, nel tentativo di stuzzicare la curiosità dello spettatore. L’atto di nascondere, di celare, diventa la cifra del loro lavoro. È in questo periodo che progettano i primi rivestimenti di interi edifici e spazi urbani. Conquistano una fama sempre crescente e i riconoscimenti sul piano internazionale non tardano ad arrivare. Il terreno è pronto per dar vita ai grandi empaquettages, colossali occultamenti di edifici, monumenti e spazi naturali.
Le prime realizzazioni interessano la città di Spoleto, con la Wrapped Fountain e la Wrapped Medieval Tower nel 1968, nello stesso anno la città di Berna, con la Künsthalle.
Il 1969 è denso di lavoro, con la realizzazione del Wrapped Floor and Stairway al Museo di Arte Contemporanea di Chicago e la prima opera ad alto impatto sulla natura, la Wrapped Coast in Australia. Quest’ultima un’impresa nient’affatto scontata: ricoprire un tratto di costa, per lo più articolata in scogliere, con il mare non sempre a favore, richiede uno sforzo immane.
Il ripido tratto costiero che viene impacchettato è lungo quasi 2,4 Km e largo circa 250 m, raggiunge picchi di 26 m di altezza dal livello del mare: 90.000 metri quadrati di tessuto anti-erosione sono utilizzati, insieme a 56 Km di corda di polipropilene. Una squadra di 15 arrampicatori professionisti, 110 operai e studenti dell’università di Sidney lavorano per circa 17.000 ore.
L’Italia è uno tra i primi paesi al mondo ad intuire l’originalità e il valore dell’arte dei Christo, e nel 1970 ospita per la seconda volta gli artisti, questa volta in Piazza Duomo a Milano: il monumento a Vittorio Emanuele rimane avvolto nel tesssuto per 48 ore. Gli artisti ritorneranno nel 1974, a Roma, per l’impacchettamento delle mura aureliane, nel tratto compreso tra Via Veneto e Villa Borghese.
Nel 1972 viene innalzata la enorme tenda gialla nella Rifle Valley in Colorado: un sipario, quasi una diga, a dividere in due una immensa vallata incontaminata. È un’opera con un forte richiamo, anche politico: una struttura artificiale può dividere ciò che l’uomo è abituato a vedere e vivere come un unicum.
Sempre nel ‘72 l’opera Running Fence mostra una forte somiglianza con la Grande Muraglia cinese, somiglianza curiosamente accentuata da una coincidenza: la morte di Mao Tse-Tung avvenuta il giorno prima l’inaugurazione dell’opera. La struttura è lunga quasi 40 Km e resta in loco per due settimane prima di essere debitamente rimossa e tutti i materiali riciclati.
Quattro anni dopo, nel ‘76, in California, un’opera non dissimile nel significato viene realizzata alzando una staccionata di tessuto attraverso le contee di Sonoma e Marin.
Gli anni ‘80 sono quelli che consacrano Christo e Jean-Claude, cui tutto sembra ormai permesso.

Nel 1983 prende corpo un progetto impensabile: rivestire di tessuto gli isolotti di un arcipelago. 600.000 metri quadrati di polipropilene rosa rivestono le coste delle isole della baia di Biscayne in Florida. Le isole, che fino ad allora erano state utilizzate quasi solo come discariche, si elevano al rango delle Ninfee di Claude Monet. Nel periodo tra il novembre 1982 e l’aprile 1983 furono venduti oltre 5.000 biglietti di elicottero per sorvolare e osservare l’arcipelago in questa veste.
L’equipe dei Christo comincia a comprendere che anche i materiali preparatori utilizzati – tavole, bozzetti numerati, fotografie originali in tiratura limitata, modellini in scala, prove di tessuti – possono avere un mercato, e contribuire così al sostenimento delle spese: tutto viene messo in vendita, e il mondo dell’arte, alla ricerca di collectibles, risponde in maniera entusiastica. Sembra che si sia finalmente trovato il modo di toccare con mano opere intangibili, soddisfacendo i collezionisti a caccia dell’affare e gli artisti alla ricerca di fondi.
Nel 1985 la coppia è a Parigi. Il Pont Neuf è uno dei monumenti più amati della città, il ponte sulla Senna più antico della capitale, uno dei luoghi più visitati e fotografati al mondo.
Per i Christo guadagnarsi l’approvazione ha significato una battaglia durata 10 anni. L’autorizzazione dovette arrivare dal sindaco della città, Jacques Chirac, e dal presidente della Repubblica, François Mitterand. I 40.000 mq di stoffa in poliammide ricoprirono il ponte e lo colorarono d’oro per due settimane.
Nel 1991 il duo di artisti è in Giappone, paese notoriamente povero di spazi aperti illimitati. Qui i Christo pensano di intervenire con il collocamento di 1340 ombrelli blu nella regione di Ibaraki. Un’opera gemellata con i 1760 ombrelli gialli che nello stesso anno sono disposti in California. The umbrellas sono un’unica opera d’arte, in due sedi, separate dall’oceano. Il progetto più dispendioso dei Christo, arrivato a costare 26 mld di dollari. Ogni ombrello è alto sei metri, con un diametro di circa 9 metri e un peso complessivo di 200 Kg.
Nello spazio limitato e prezioso del Giappone gli ombrelli sono disposti in maniera intima, molto vicini gli uni agli altri, a seguire le geometrie delle risaie; nella vegetazione lussureggiante, acquatica, gli ombrelli sono di un blu carico. Nelle vastità della California e delle sue terre da pascolo, la configurazione degli ombrelli è libera e senza direzione precisa. Le brune colline della California sono tappezzate di macchie dorate, come funghi incantati. Con quest’opera emerge come i Christo siano andati ben al di là dell’impacchettamento, per dare vita ad installazioni sempre più complesse nel paesaggio.

L’empaquettage del Reichstag di Berlino è il coronamento del sogno di una vita: 24 lunghi anni di preparazione e di battaglie politiche, per ottenere permessi che arrivano nel 1995, anno in cui i lavori iniziano. L’opera è pronta nel Maggio dello stesso anno e riscuote un successo clamoroso.
Nel 1998 prende vita l’installazione dei Wrapped Trees, alla fondazione Beyeler di Basilea. Gli artisti avvolgono la cima degli alberi in polipropilene lasciando libero il tronco, a mostrare la forma primordiale dell’albero. Il tessuto lascia intravedere i rami che premono contro l’esterno, come se madre natura si stesse sensualmente mostrando agli spettatori. L’opera rimane in mostra per 3 settimane durante l’autunno, esposta alle intemperie.
The gates in Central Park, del 1995, nel cuore di Manhattan, la città che non dorme mai e in perpetuo movimento, una realizzazione zen, meditativa, di cancelli dai quali sventolano drappi di stoffa arancione.
Jean-Claude, parlando del proprio lavoro, lo ha definito come ‘incentrato sul sentimento di Meraviglia’: creare stupore, riaccendere la curiosità, svelare qualcosa di nuovo… occultando qualcosa di preesistente. L’opera d’arte, architettonica, paesaggistica, naturale, c’è già. Il compito dell’artista è quello di richiamare l’interesse dello spettatore, introducendo una variazione, una modifica nel colore, nella forma, nella percezione della luce.
Meravigliarsi di qualcosa che si conosce, o meglio, che si pensava di conoscere fino all’intervento di Christo e Jean-Claude.
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