Nella società di oggi non siamo più educati al “sentire”, ai sentimenti e alla comunicazione emotiva, la quale è stata completamente annullata da quella razionale. Siamo arrivati a considerare i sentimenti come una minaccia all’equilibrio; un equilibrio fittizio basato sulla razionalità.
Ma una vita vissuta esclusivamente sul piano razionale è povera e ci fa perdere il significato e il valore di ciò che siamo e che sentiamo. Ci preoccupiamo di curare il nostro “esterno”, la nostra “maschera”, senza preoccuparci dell’”interno”, del Sé, che diventa un estraneo di fronte all’emotività.
Un Sé che non conosciamo, di cui non siamo consapevoli; un sé sconosciuto, di cui abbiamo paura e ce ne allontaniamo investendo tutte le nostre energie per migliorare e conservare l’immagine esterna, il guscio, che diventa sempre più impenetrabile e lontano.
Nell’era del “virtuale”e del “tutto in un click“, si va verso l’anestesia dei sensi; oggi infatti non diamo più spazio a questi, se non alla vista, che è diventata il senso predominante in una società ossessionata dall’immagine e dall’esterno.
Il culto per l’“immagine”, per l’“esterno” sta ostacolando sempre più la crescita e la costruzione dell’identità dell’individuo; un individuo non più in grado di riconoscere i propri bisogni, di raggiungere una conoscenza ed una consapevolezza di se stesso, raggiungibile solamente con una maggiore ricerca e attenzione all’interiorità, all’intimità. Una persona matura e consapevole sa il senso del proprio valore e del proprio “essere” che risiede nella sua ricchezza interiore. Al contrario, una persona che cerca il senso del proprio valore e del proprio essere all’esterno, in particolare nell’approvazione degli altri, è una persona dipendente, insicura. Alla base della dipendenza infatti c’è una scarsa autostima, un cattivo rapporto con se stessi, uno scarso amore per sé, e un bisogno ossessivo di appoggiarsi o di farsi sostenere da qualcosa o da qualcuno.
Ecco perché le dipendenze sono sempre più presenti nella vita della maggior parte di ognuno di noi. Chi è che non fa a meno delle sigarette, del caffè, del vino, del cioccolato, di qualsiasi sostanza che anche per un attimo allevii un dolore, una sofferenza, di tutte quelle sostanze o situazioni che ci aiutano momentaneamente a distrarci, a non farci “pensare”?
Spesso molte di queste sostanze sono legate a riti.
Il caffè la mattina al bar è diventata una coccola, un momento di condivisione, di omologazione per molti, ma di vero piacere per pochi. Sono pochi quelli che bevono il caffè per il semplice gusto di godere del sapore che ha. Per molti è un rito, un’abitudine, una dipendenza.
Quando parliamo di dipendenza patologica, facciamo riferimento all’uso distorto e morboso di una sostanza, di un oggetto, di un comportamento; è un’esperienza caratterizzata da un sentimento che non può essere represso e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsiva.
Le droghe e i comportamenti di dipendenza, infatti, hanno la capacità di provocare stati soggettivi di piacere e in certi casi di euforia che alimentano tali comportamenti dipendenti.
La dipendenza può scaturire da qualsiasi situazione in cui si può attenuare un dolore, l’ansia o altri stati emotivi negativi attraverso la diminuzione della coscienza e l’aumento della soglia di sensibilità. Per questo la dipendenza non è il bisogno di farsi del male ma il bisogno di farsi del “bene”.
È un fuggire, uno scappare dalla realtà, dalla quotidianità, che spesso ci fa sentire troppo fragili e soli e quindi devìa il nostro cammino verso la ricerca ossessiva di un “qualcosa” che non ci faccia soffrire dei dolori e delle responsabilità di cui la vita è piena, ma allo stesso tempo ci fa perdere il contatto con noi stessi con le nostre emozioni, con la nostra essenza. Ci priva della conoscenza di noi stessi e quindi della libertà di “essere”. Tutti i tipi di dipendenze tolgono la libertà, perché ci fanno “pendere da” (dal latino dipendere), qualcosa o qualcuno che è più forte di noi, di cui non possiamo fare a meno.
La dipendenza è una debolezza, un colmare un vuoto, lo stesso vuoto che ci fa sentire deboli: per sfuggire da questa sensazione che non sappiamo gestire e non vogliamo accettare e riconoscere, ci buttiamo nel vortice della trasgressione, che altro non è che una debolezza, anche se da molti viene vista come “forza”, come “coraggio”.
Molte dipendenze specialmente all’inizio portano con sé una buona dose di trasgressione, di euforia, e spingono ad un livello di eccitazione tale che, tra esaltazione e disperazione, ci fa sentire forti, vivi. Alla base di una dipendenza sembra esserci la paura di essere abbandonati.
In questo caso, la sostanza, l’oggetto, la persona o il comportamento che ci crea dipendenza diventa una sorta di “coperta di Linus”, però anziché avvolgerci e tenerci caldi, arriva a soffocarci, a schiacciarci, rendendoci sempre più fragili ed insicuri, più “scoperti” e vulnerabili ai pericoli.
In questo scenario, l’individuo “sposta” le proprie sofferenze esorcizzandole con il comportamento di dipendenza. C’è chi esorcizza con il cibo, chi con l’alcool, chi con la droga e chi con il sesso, grazie anche alla maggior facilità d’accesso che internet offre.
Ormai il sesso è alla portata di un click, per questo vi è stato un aumento della dipendenza sessuale e dalla pornografia con l’avvento di internet nel mondo e in Italia.
Come tutte le dipendenze, quella sessuale, ha la funzione di compensare un difetto del Sé.
Nei soggetti affetti da tale patologia, il desiderio sessuale coinvolge ed invade tutti i pensieri e le sensazioni, da non permettere nessun altro scopo nella vita.
La dipendenza da sesso è la condizione psico-fisico-esistenziale nella quale un individuo percepisce la propria sessualità centrale rispetto alla sua vita ed agisce in risposta ad un irrefrenabile impulso sessuale.
Questa situazione porta il soggetto dipendente a non avere più il controllo sulle proprie scelte.
Spesso il dipendente sessuale è un individuo con una scarsa intelligenza emotiva e quindi una difficoltà a gestire e riconoscere le proprie ed altrui emozioni, un soggetto solo, con pochi strumenti culturali per difendersi che spesso usa il sesso come mezzo per soccombere alla mancanza di un rapporto affettivo.
Il sesso nel dipendente sessuale ha la funzione di relazione primaria, per la quale tutto il resto viene sacrificato, inclusa la famiglia, gli amici, i valori e la salute.
Invece di vivere il sesso come fonte di piacere, il soggetto dipendente sessuale ha imparato a relazionarsi al sesso per confortarsi dal dolore.
Lo scopo dell’ipersessualità, infatti, come tutte le altre dipendenze, è alleviare lo stress e fuggire dai sentimenti negativi o dolorosi e dalle relazioni intime che spesso portano a sofferenze e abbandoni. Per cui in un soggetto non in grado di gestire nessun tipo di sensazione ed emozione, il sesso diventa il bisogno fondamentale per avere un contatto con l’altro, una gratificazione, uno scambio; un bisogno rispetto al quale le persone coinvolte fungono da “mezzo”, da oggetti da usare e buttare per non essere poi abbandonati. I dipendenti sessuali “usano e gettano” per non essere a loro volta usati e gettati.
Come vediamo, la dipendenza costituisce un comportamento di evitamento, di fuga. Il soggetto si rifugia nel sesso o nella dipendenza “scelta” per sfuggire alle problematiche esistenziali.
Questo porta sempre di più ad un deterioramento delle relazioni e ad un conseguente isolamento sociale, che sfocia in una maggiore insicurezza e un maggior rischio di depressione e sviluppo di disturbi di personalità.
Camilla Bonomo
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