Serena Rossi

Incedere che ti incolla allo spazio che separa le parole, prima che al verso, mentre costringe l’occhio a seguire gli a capo al ritmo di Serena. E immagini che marciando lasciano impronte che trasformano echi ermetici in dolorosi colpi, nella memoria. Riscrive Serena parte della storia, la sua, non calcando ma ribattendo a mano le tracce della Storia, la nostra, collettiva, letteraria ma prima ancora tragica, di guerra. Intima, certo, ma il suo cuore batte il ritmo in trincea. È con orgoglio che Diwali vi propone questi versi.

Maria Carla Trapani

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Fratelli

(India, 2012)

 

Gridi il mio nome – lo conosco?
stropicciato tra le dita deformi
delle tue mani scure.

Crocifisso il corpo
mostra alle mie iridi turbate – codarde?
il saccheggio inverecondo della lebbra
padrona di questo viaggio inatteso.

Di piaghe indigenti
la gamba – solitaria, fiera
è stata deturpata.

Sopravvivi – infetto, grato
nel nerbo di un sole cocente
in attesa di una carezza che rivendichi
il tuo esistere obnubilato.

Anni, mesi, giorni
di nervi danneggiati
lesioni permanenti
dolenze barbare.

Un quadrato di cemento – casa, benvenuta
indichi orgoglioso
a questa ospite sfioccata.

Il cuore
scevro di porta e masserizie – aperto
riflette un’accoglienza di luce.
La stessa età – ventotto
a due destini diversi
in due pianeti distanti
ci avvinghia in una danza solidale.

Il mio sguardo compunto – pudore, vergogna
si solleva sulle tue carni straziate
e tu m’infliggi un sorriso speziato
di gioia germogliato.

Ti sfioro delicata
ai margini del mondo – eterico
al centro della mia memoria – materica
per non ferirti
per risucchiarti l’ingiustizia – non coltivi riserve di odio e rancore
e regalarti una voce
che purtroppo non ho – sei tu a prestarmi la tua.

Mi stringi più forte
di una felicità limpida e genuina
che la mia anima umbratile
ha dimenticato altrove.

Sussurro il tuo nome
goffa – puoi rammentarlo?
e tu soffi il mio
dentro le note
di un abbraccio d’amore vellutato.
Lo affidi
come un dono prezioso
alla polvere ocra
agli dei che invochi
al tuo cielo indiano.

Non sono niente – Io
A prenderti cura di me
sei – Tu.

In questo lembo di terra – lebbrosario
depennato dalle mappe universali
affondato nella speranza stuprata
dall’indifferenza della mia specie
mi hai contagiato:
siamo
per un istante acceso
– fratelli.

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