
Mi chiamo Lamin, ho trentotto anni. Sono partito dal Senegal quando avevo diciassette anni (non riesco a capire il nome della città a causa dell’italiano stentato e non ho cartine per farmi indicare la località). La mia famiglia mise insieme, con molti sacrifici, i soldi per il biglietto: quando sono partito ventun anni fa avevo solo quelli, insieme alla paura e alla speranza. Da prima sono arrivato in Portogallo, poi sono passato per la Francia, poi in Italia, a Torino e Brescia, ma per pochi giorni, infine a L. dove ho trovato una comunità di connazionali che mi ha aiutato a trovare i primi lavori.
Vivo a L. in un appartamento assieme a quattro connazionali, pago centoventi euro di affitto utenze non comprese, per mangiare spendo ottanta euro al mese e ogni due- tre mesi invio 300-400 euro alla mia famiglia in Senegal. Ho due fratelli e una sorella che vive sola con mio padre, una sola moglie che ho lasciato, una figlia di undici anni che vive con mia madre di settanta. Vivono da sole, ci sentiamo per telefono, sono forti e in gamba. In Senegal la condizione della donna sembra essere diversa da quella italiana, la donna è libera, può decidere di vivere da sola, nonostante ciò è quasi impossibile sopravvivere per mancanza di lavoro.

Sono una persona dignitosa, non ho mai accettato lavori “facili”, per me non spendo nulla, faccio il pendolare ogni giorno da L. alla spiaggia di M. con il mio carico di abiti e cianfrusaglie, vado d’accordo con i miei connazionali, tra di noi cerchiamo di aiutarci ma ci sono anche gelosie e invidie, lotta per gli spazi di commercio da dividerci sulle spiagge. Io ne resto fuori, non voglio sgomitare, quando posso mi sposto altrove. Qui in spiaggia tra gli Italiani ho molti amici che sanno la mia situazione e cercano di aiutarmi comprando qualcosa, loro sembrano i migliori, gli stranieri in vacanza invece non spendono e non desiderano scambiare parole. Faccio il mio giro di diversi chilometri avanti e indietro, non chiedo sempre di comprare, ricordo il posto di ognuno e passo a salutare per due chiacchiere, quello è sempre un bel regalo per me che sono solo. Non ho donne, una sola moglie e non desidero prenderne altre come si usa da noi, in Italia non accetto gli “inviti” femminili di donne sole che a volte arrivano, no non c’è nulla di male ma io ho timore e, per paura, ma anche per decoro e rispetto verso la civiltà che mi ospita, rifiuto qualsiasi avventura. (Lamin sembra molto serio, nel suo volto però c’è anche la sofferenza della solitudine insieme alla consapevolezza che, trovandosi in un paese diverso dal suo, potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno o regole sociali non scritte. Dai suoi occhi trapela più di quel dice, a stento, limitandosi molto, faccio fatica a farlo rispondere alle domande; un timore che viene dall’orgoglio e dal senso di dignità, ma anche dal suo trovarsi in una terra straniera).
Non ho amici italiani, sono timido, questa è la prima volta che mi siedo al bar con qualcuno. Mi piacerebbe, mi piacerebbe molto ma so che non è possibile…
(Lamin esita a mettersi seduto, prima non vuole prendere nulla, poi su mio invito ripetuto chiede un caffè e un tè freddo, da mangiare nulla, neppure sotto mia insistenza… mi risponde in tono serio: “non ne ho bisogno, non ho uno stomaco così grande, ho già mangiato stamattina”).
Sì sono in regola adesso… ogni volta devo rinnovare il permesso di soggiorno, dimostrare dove abito e che ho soldi per vivere, vuoi vedere i miei documenti? (Fa cenno di tirare fuori i documenti e aspetta un mio assenso, gli dico che non è necessario, che non sono lì per controllarlo).

Mia moglie, no, non voglio più stare con lei, non so cosa faccia ma non è una brava moglie, non lo è stata (alla mia richiesta di spiegazioni Lamin si rifiuta di parlare, scuote la testa, non desidera entrare nel merito e non insisto).
Sono due anni che non torno a casa, che non vedo mia figlia, anche lo scorso anno non sono riuscito a trovare i soldi per il biglietto aereo. No, non accetto regali, e non mi è mai accaduto che qualcuno volesse regalarmi un biglietto per andare a trovare mia figlia, per tornare a casa… queste sono cose che non accadono a noi…e poi io non parlo con nessuno della mia vita, ti racconto questo perché tu mi hai chiesto qualcosa di me…perché spero di trovare un lavoro onesto ed è bello trovarsi a un tavolo a parlare semplicemente, senza paura di dover mostrare niente se non quello che si è (le persone che passano e mi guardano con disappunto forse non la pensano alla stessa maniera, siamo osservati, Lamin si sente turbato, dentro di sé sa che stiamo violando qualche regola non scritta ma si fa forza della mia noncuranza).
Lamin mi sorride mostrando i denti, alcuni dei quali sporgono vistosamente, si raccomanda per un aiuto, un lavoro ma solo se onesto perché -dice- deve onorare la sua famiglia, e non può accettare l’elemosina. Il mio compito è di crescere mia figlia, mi dice, con la voce rotta, e crescerla onestamente. Chiedo il nome della bambina, ma non lo scrivo per rispetto, Lamin mi lascia il suo numero, crede che io sia una persona importante, gli rispondo che non posso fare molto ma ho desiderato ascoltarlo e gli prometto che proverò a raccontare la storia di un imbarco immediato, uno dei tanti perché di storie così ce ne sono a migliaia e poi ci sono anche altre storie, sempre che ci sia qualcuno disposto a raccontarle.
Antoine Germain
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