L’undicesimo InMobile

LAST MINUTE /IMMEDIATE BOARDING

Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po’ di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
È un dolore sottile e definitivo
come l’ultimo verso di un poema…
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po’ della nostra anima.

Edmond Haracourt

 

Il viaggio è inteso come distacco, da una parte, e ricerca nonché scoperta di ciò che è altro e diverso, molto spesso, dall’altro.
Il fascino e l’ebrezza permeate da un senso di paura, anche e soprattutto del non ritorno, percorre il nostro modo di vedere e sentire il viaggio. Partendo, appunto, da un viaggio fisico e passando ad uno interiore, credo che la spinta della conoscenza di luoghi nuovi e diversi e sempre meglio di noi stessi possano far parte di uno stesso viaggio. Il viaggio della memoria, poi, acuisce quel senso di perdita ma allieta le giornate più cupe, perché quel che è stato non sarà più ma permette di vivere il viaggio del presente e di ricordare, anche con una sottile vena di malinconia, il vissuto.
La valigia, o il bagaglio, che ognuno di noi si porta dietro raccoglie le cose più preziose ed indispensabili per distinguere la nostra persona dalle altre.
Al check-in di un qualsivoglia aeroporto siamo assaliti da file interminabili di valigie, sacchi, zaini e borse di ogni colore e fattura e sono proprio quelli che ci contraddistinguono, così come il nostro proprio e personale modo di essere nel percepire la realtà che ci circonda.
Un viaggio di conoscenza e di confronto che automaticamente diventa motivo di crescita ed ampliamento del proprio bagaglio interiore.
Uno degli artisti che, a mio modo di vedere, propone il viaggio nelle diverse sfaccettature è Jean-Michel Folon, di cui quest’anno ricorre il decennale della morte, che col suo omino con la valigia rappresenta ciò che di più avventuroso e apparentemente passeggero e libero ci possa essere.
Un emblema della libertà e della conoscenza, passando da dune desertiche a cieli fantastici costellati da arcobaleni, albe e tramonti onirici, sino ad arrivare alle navi solitarie che lasciano solchi in mari su rotte mai battute. Il simbolo di un viaggio eterno e incessante alla ricerca di se stessi.
Figure sempre uguali: uomini corposi con trench, cappello e valigia con il loro sguardo perennemente fisso all’orizzonte, verso quell’orizzonte infinito e fantastico, vivo e immobile e molto spesso irraggiungibile.
Utilizzando poi la tecnica dell’acquerello, previlegiando colori tenui e sfumati, il tutto risulta maggiormente evanescente e onirico.
Un linguaggio universale del viaggio, che l’artista ha cercato di raccontare per tutta la sua vita e a cui in Italia (Firenze – 2005) ha dedicato il suo ultimo viaggio terreno, quantomeno.
Il viaggio quindi viene percorso nelle diverse declinazioni in cui uomini ed animali lo affrontano nel corso della loro esistenza. Dalla visione del viaggio in senso universale (uomo-cittadino del mondo di Folon), si passa ad un viaggio fisico e simbolico, in cui gli oggetti stessi del viaggio assurgono a simboli, al mezzo – il mare – attraverso il quale si affrontano viaggi, proseguendo, poi, ad un viaggio alchemico ed onirico, per poi passare al viaggio periodico degli animali da un territorio ad un altro esaltando il contesto naturalistico in cui pascolano, sino ad approdare sulle coste di quel viaggio interiore che ognuno di noi compie al fine di conoscere sé stesso e poter essere “sé stesso”, su questa terra.

Sara Lombardo

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