
Il compositore compone innanzitutto musica, ma il prodotto di chi compone può essere altro che una composizione musicale.
L’oggetto del comporre non è predeterminato, e la materia composta è infinita: ciò che conta è l’atto intenzionale del raccogliere elementi diversi ma omogenei, all’interno di un tutto coerente, preferibilmente secondo un ordine estetico o concettuale.
È così che si può parlare di una composizione floreale, dove i fiori sono vere e proprie note di una sinfonia di odori, colori, sensazioni tattili. O ancora, in francese la composition è una forma di saggio, in cui bisogna per l’appunto porre in “risonanza” brani di narrativa, poesie, e immagini di opere figurative e plastiche, per mostrarne al contempo l’armonia e i nessi concettuali.
La de-composizione, però, accorda un’ulteriore libertà: la possibilità di procedere a ritroso, sciogliendo i lacci di ciò che è composto, per mettere infine a nudo la trama, la tela, o qualunque altro tipo di composto.
L’arte in ogni sua forma può infatti essere vista come un viaggio indietro nel tempo, perché forse solo ciò che si è già vissuto può essere rappresentato: anche la proiezione nel futuro parte sempre dal passato.
È quindi un gesto eminentemente artistico la decomposizione, l’esperienza del tornare indietro, controcorrente e soprattutto controtempo?
La risposta, forse, è nascosta nei contributi che troverete in questo numero di Diwali.
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