L’editorial

Forse mente chi nega l’ebbrezza che accompagna l’accesso in incognito a una rete virtuale. Dalla fine degli anni ‘90, l’interazione su internet, a viso coperto, si generalizza fino a diventare fenomeno di massa. Il Nickname, dietro cui si può agevolmente nascondere la propria identità, non è tuttavia veramente anonimo. Nella scelta del soprannome c’è forse più identità autentica di quanta ce ne sia nel nome-cognome cui il mondo associa il nostro viso. Nella fantasia del nuovo nome possiamo sprigionare potenze significanti altrimenti nascoste sotto quella maschera imposta cui spesso si riduce la nostra fisica presenza. L’identità virtuale, sotto le sembianze di una fuga dal reale, non nasconde forse una dirompente potenza di libera autoaffermazione, in grado di realizzare il nostro più autentico, in quanto liberamente scelto, volto profondo? La sfida è di rappresentare questa ambiguità: che sia una maschera menzognera o il nucleo del nostro vero io, il soprannome sembra sfuggire ancora a uno sguardo catalogante. È un nome finto,point-contemporain-rachel-marks-identity il nickname, che tuttavia, per averlo scelto dice più del nome vero. Nascondendo l’identità la rivela più del passaporto. Radicato è il nickname non nei secoli degli avi, ma nell’attimo di un’iscrizione, di un’urgenza virtuale, che per quanto fuggevole dura a lungo, nel tempo che ne ha reso possibile l’elaborazione e in quello della sua vita futura. Sovrapposto al nostro viso, il nickname può smascherarci, denudando il volto quotidiano. È lì che l’arte interviene: da copertura a istanza rivelatrice, da maschera che inganna a rappresentazione delle pulsioni più profonde dell’Io. Copre scoprendo, scopre coprendo, concrezione di una realtà che fa del rimando precario una postura stanziale: benché destinato a scomparire, dura a volte anni, il soprannome virtuale, tanto da essere investito di affettività più potenti del nome del Padre. Abbiamo ormai più da perdere nel Sopra che nel Nome. Ma non lasciamoci ingannare dal virtuale, che è solo una forma del reale: è l’identità stessa che è in gioco. Non siamo forse da sempre esposti, ben prima dell’avvento del nickname, alla precarietà della nostra immagine? È specificamente occidentale l’idea di un’individualità stabile e univoca che ci identifica dalla nascita alla morte, che trova nell’elaborazione cartesiana del soggetto moderno la sua più compiuta espressione. Ciò che esperiamo è invece tutt’altro: frammentati e scissi, ben prima di internet ci nascondiamo: la falsa identità non è altro che una forma di rivolta contro l’imposizione di una sola identità. Mascherandoci, rivendichiamo la plurivocità del nostro essere. E il carattere indefinito della sua espressione, che dev’essere più che mai contaminata.

Diwali – Rivista contaminata

 

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