L’Editorial

Non cederemo alle sirene della metafisica, chiedendoci “che cos’è”, la donna.

Noi, quest’orizzonte, che segna il limite, la fine e l’origine, della filosofia, intendiamo superarlo. Porci da un punto di vista radicalmente anti-filosofico, ove per filosofia si intenda il grande pensiero occidentale.
Non definire, quindi, ma scorgere le linee di fuga, e lasciare che ci attraversino per moltiplicarle, abbandonandoci alle dissolvenze, amplificando le assonanze, fermando i germogli che rimarranno potenza e ponendo atti, che puri non conoscono inizio.
Se c’è una possibilità di stare al mondo creando, è lì che si annida, nel margine e nell’eccedenza.

Non cos’è la donna, ma la donna, posta appunto come disgiunzione di atto e potenza, come divenire a-dialettico, perché è in questo divenire che si dà la libera soggettivazione dell’individuo in quanto essere sessuato. O anche non sessuato, processo indefinito di soggettivazione che non conosce direzione.

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Orlan – Opera Surgury-Performance, 1991

Saltare su un treno in corsa di cui non si conosce la destinazione, senza neanche chiedersi dove porti.
Una vera rivoluzione, sarebbe rigettare il concetto stesso di direzione. Quel destino che per definizione da sempre ci segna e al quale pensiamo di non avere scampo: maschi e femmine, come marchio indelebile già prima della nascita: il nostro nome, che precede persino la nostra venuta al mondo…
E ogni cambiamento di rotta è opportunamente registrato, se non dalla legge, da quel legislatore che è ancor più coercitivo dello Stato: la società, che della forza anonima dell’omologazione è costituita.
Eppure, abbiamo la possibilità di scatenare processi inversi, inizialmente semplicemente liberi, poi di autodeterminazione della nostra sessualità. Ciascuno libero di assumere identità, o di disfarsene per sempre, alla ricerca continua di nuove espressioni, che passino per differenziazioni altre che quelle genitali.
Se un altro mondo è possibile, passa anche da qui, dal nostro abbandonarci al flusso della nostra energia per riconvertirla in libera costituzione della singola individualità, per sottrarla per sempre all’impresa della ripetizione.
Ripetizione, sì, sempre più stanca e disgustosa chiacchiera, che ormai non ci piove addosso solo dai media eterodiretti, ma anche dai cosiddetti social di cui apparentemente solo noi siamo i responsabili.
E allora, se davvero è così, perché non provare, ognuno partendo da sé, a fermare lo scorrere del fiume identico del “si dice”, per affermare ciò che noi scegliamo di essere?
Femminicidi, quote rosa e abusi di potere, si mischiano a un linguaggio sessista che ci fa arretrare spaventosamente rispetto alle altissime elaborazioni del femminismo degli anni ‘70, cancellando a fortiori il suo superamento nel discorso foucaultiano.

In questo processo di liberazione per l’autodeterminazione della propria sessualità, l’arte gioca evidentemente un ruolo cruciale.

In attesa che arte diventi il nostro stesso abitare il mondo, vogliamo almeno accarezzare e farci sfiorare dalle sue linee di fuga.

Sta a noi ora cercarle, tra le pieghe infinite dell’arte…

Diwali – Rivista contaminata

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