L’Editorial

La meccanica dei sentimenti, nella sua polivalenza semantica, rimanda alla complessità di un rapporto che oggi sembra giocarsi in modo indiscusso nella dominazione del primo termine sul secondo. Eppure, con l’ambiguità dell’espressione, che lascia nell’indeterminato tale rapporto, senza decidere se si tratti di specificazione, di contraddizione o di ordine gerarchico, intendevamo proprio invitare alla problematizzazione di quello che sembra un assunto, e cioè la presa mostruosa e snaturaCapturente della meccanica sui sentimenti.
Nell’epoca della tecnica compiuta, ma anche della chiacchiera che l’accompagna – per riprendere, tradendolo, un linguaggio heideggeriano – sembra infatti scontato che sia la meccanica, in quanto forza estranea, anonima e totalizzante, a esercitare il suo dominio assoluto, strutturando, informando e infine mortificando i sentimenti, impedendo quell’ascolto poetico – potremmo dire genericamente artistico – nel quale dovrebbe realizzarsi un destino autenticamente umano. La gabbia d’acciaio nella quale siamo presi sembra insomma un destino, al quale non possiamo opporci. Un destino capovolto, contrario a quello che sembra poter essere il sentiero della realizzazione dell’uomo, in ascolto dell’essere nel suo disvelarsi, nella poiesi come creazione libera dalla costrizione del lavoro.
Eppure, la gabbia nella quale ci sentiamo presi come forza estranea, anonima e autonoma, non è altro che il risultato naturale di un progresso millenario, frutto della inarrestabile potenza creatrice dell’intelletto umano. Progresso tecnico, ma anche filosofico: non a caso, il destino della tecnica è anche il destino della metafisica. La tecnica che ci sovrasta è quindi il compimento della metafisica, come espressione di un certo modo di avere a che fare con il mondo.
Di dominare il mondo, di instaurare un rapporto con la natura di tipo strumentale. Invece di stare al mondo? Forse, ma forse anche nei sentimenti c’è una meccanica originaria, connaturata e ineludibile, che determina le forme della realizzazione mondana della creatività dell’uomo.
Forse, semplicemente, i sentimenti non possono esprimersi altrimenti che con opere, prove tangibili del suo rapporto elettivo col divino. E le opere, si sa, se mostrano l’esistenza di Dio, non possono realizzarsi se non con massicce dosi di metafisica. Quindi, di tecniche, abilità muscolari e progettuali.
Ed è quindi forse la meccanica a fondamento dei sentimenti? Piuttosto che invertire, la meccanica non realizza forse nella superficie sensibile la profondità intangibile dell’uomo? E l’ascolto, avrebbe senso in mancanza di una tecnica che consenta la produzione, quindi la percezione, delle opere?
L’ascolto, in assenza di tecnica, non potrebbe darsi se non in una natura pre-umana. È forse questo il nostro destino?
Siamo già troppo presi nella chiacchiera quotidiana, non possiamo provare vergogna per queste vertigini del pensiero. Dopotutto, al di là delle parole, torneremo ad attraversare leggeri come piume meccaniche e sentimenti allo stesso tempo divini e secolari, lineare e circolari.

Diwali – Rivista Contaminata

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