L’arte in protesta: l’esperienza sud-africana

Il massacro di Sharpeville del 1960 ha dato una svolta epocale alla storia del Sud Africa. Ha innescato una catena di eventi: dal divieto alle organizzazioni di liberazione allo scaturire della lotta armata, dall’internazionalizzazione delle politiche di apartheid alla crescente divisione tra bianchi e neri.
La lotta di liberazione in Sud Africa, a partire dagli anni ‘60 e fino agli anni ‘90, ha stimolato il dibattito sul ruolo della cultura in una società razzialmente oppressiva e autoritaria. I risultati di questo fermento politico e creativo sono stati numerosi, tra questi la fondazione di comunità di artisti intese come i ‘mattoni’ di una nuova ‘casa’ per il popolo, libera da ogni pregiudizio, tra queste i Bill Ainslie Studios (poi confluiti nella Art Foundation di Johannesburg), Mofolo a Soweto, Katlehong a Germiston, i Black Art Studios a Durban e le comunità Arts Project e Nyanga a Città del Capo.
Da un lato, e per lunghi anni, i bianchi sembravano accettare lo status quo, sostenendo che l’arte dovesse avere un’esistenza indipendente, con propri valori intrinseci, che andassero al di là delle politiche dei partiti e affrontassero il tema delle verità universali.
Dall’altro, molti artisti sostenevano di non poter negare la realtà contingente: la loro arte avrebbe dovuto riflettere l’iniquità della Storia. Questo gruppo sviluppò una critica sempre più radicale della società, sostenendo che gli artisti avessero l’obbligo morale di pianificare la creazione di un nuovo ‘popolo rivoluzionario’.
Gran parte dell’arte prodotta durante l’apartheid è stata critica nei confronti delle politiche razziali e culturali dello Stato ed è stata definita come ‘Resistance Art‘. Questo termine è stato ampiamente discusso da molti storici e critici, senza arrivare a una soluzione condivisa. Ciò riflette la profonda divisione tra accademici, più o meno progressisti, per lo più bianchi e la comunità artistica di prevalenza nera.
Avvicinandosi alla Resistance Art ci accorgiamo che gli artisti che ne sono stati protagonisti hanno risposto allo svolgersi degli eventi in modo molto diverso e pur condividendo gli stessi ideali si sono scontrati sui modi di rappresentare la loro reazione al sistema.
Alcuni autori, ad esempio, hanno scelto di non produrre un lavoro apertamente politico, ma ciò non ha impedito che la loro opera avesse un impatto significativo sul pubblico, tramitando chiaramente le loro preoccupazioni per la società. Ci sono stati artisti che non sono mai appartenuti a nessuna organizzazione di ‘lotta‘, ma hanno prodotto opere che hanno reso potenti dichiarazioni circa le ingiustizie del governo della minoranza bianca.
D’altra parte ci sono stati artisti che si sono apertamente schierati con l’opposizione e prodotto opere che hanno dato un grande impulso alla mobilitazione sociale.
Molte opere non sono mai state esposte fino a tempi più recenti, perché avrebbero senza dubbio portato a processo –e in carcere– gli autori.
In questo breve excursus presentiamo alcuni artisti che hanno lasciato un segno profondo nella storia dell’arte africana e mondiale.

The Childs Mother Holds the Sharp Side of the Knife

Helen Mmapula Mmakgoba Sibidi è un’artista straordinariamente caparbia la cui arte costituirà un lascito importante circa la condizione delle donne nere nell’epoca più turbolenta della storia del Sud Africa.
Le sue opere sono composizioni affollate di personaggi –soprattutto donne– in protesta contro il sistema. Le figure sono rese col pastello tramite ampie passate frastagliate e colori vivaci che sembrano sottolineare la tensione e l’energia ‘arrabbiata’ dell’opera.
Ma la qualità duratura della sua arte è data dal suo recupero rispettoso delle pratiche culturali tradizionali ‘tswana’ che trovano spazio nel suo lavoro in un linguaggio personale e modernista.

Il lavoro di Paul Stopforth ha smascherato il volto di quanti perpetravano violenze sotto l’egida dell’apartheid. ‘Elegy‘ è una serie di 20 opere in grafite e acrilico in omaggio a Steve Biko, martire della resistenza. Stopforth ha altresì rappresentato trecw9 dei nove poliziotti coinvolti nell’inchiesta attorno alla morte di Biko nell’opera ‘The Interrogators’, insieme all’immagine spettrale di una sedia, oggetto inanimato che diventa simbolo del terrore latente. Stopforth ha scelto di lasciare il Sudafrica alla fine degli anni ’80 e si è stabilito negli Stati Uniti dove tuttora insegna presso la Harvard University. Continua nella sua produzione artistica, anche se con gli anni questa si è progressivamente spogliata del suo carattere politico e provocatorio, pur restando impegnata rispetto alle problematiche del mondo contemporaneo.

butcher boys, 1985-86

Il lavoro di Jane Alexander riguarda tanto l’opera quanto lo spettatore. Opere brutali e volutamente incendiarie che non lasciano scampo. Le sculture e i fotomontaggi del periodo dell’apartheid sono state concepiti in modo che non ci fosse bisogno di chiedere spiegazioni in merito. È come mettere la società allo specchio, con i cittadini dello stesso Stato che sono al contempo aggressori e vittime.
Le sculture sono realizzate con gesso, fibra di vetro, vernici, oggetti trovati, di tanto in tanto osso e ‘oggetti di scena’ come sedie, panchine, munizioni, recinzioni, machete e falci.
Nel 1982 mentre procedeva la preparazione dell’opera ‘Senza titolo‘ con due figure scheletriche appese a dei pali, carcasse di animali e corpi umani, l’artista si rese conto che la rappresentazione ‘cruda’ della violenza attirava gli spettatori. ‘Butcher Boys’ è l’opera d’arte più visitata alla Galleria Nazionale ‘Iziko’ di Città del Capo: tre figure mostruose e antropomorfe ci rivelano gli aspetti della violenza in maniera ‘passiva’. L’autrice ha reso le figure straordinariamente sinistre e l’opera suscita ripugnanza. È forse questo il motivo per cui l’opera sta assumendo una valenza a-temporale: si è spostata oltre l’era di riferimento ed ha assunto una portata universale. Ogni violenza, ogni forma di crudeltà è contenuta e trasposta in queste figure oscure.
L’opera ‘Bom Boys’ è stata realizzata dall’artista nel 1998 ed ha riscontrato un successo planetario essendo esposta in varie gallerie e musei inthe_interrogators Africa e quindi a Düsseldorf, Parigi, Londra, Tokyo, Stoccolma.

Norman Catherine ha ottenuto la sua prima mostra personale già nel 1970 con la Goodman Gallery: nella mostra furono esposte alcune opere che illustravano tutti i tipi di materiali che l’artista utilizzava in maniera innovativa e che ne hanno fatto una leggenda vivente. Catherine è conosciuto soprattutto per le sue sculture, ma è tecnicamente molto abile anche nell’uso dell’aerografo nonché nelle incisioni a punta secca. Comune a tutte le tecniche impiegate è il suo sarcasmo graffiante, non estraneo a un certo cinismo alimentato dalle politiche governative.
Le prime opere della sua carriera avevano titoli come ‘Suicidio’, ‘Arresti domiciliari’ e ‘Terapia Intensiva’ : espressioni crude della sua avversione allo Stato.

Geremia Doria

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