Il diritto del più forte

Lo specismo è un pensiero fondato sull’idea che sia legittimo favorire gli interessi dei membri della propria specie rispetto a quelli dei membri di altre specie: lo specismo sta alla specie come il razzismo e il sessismo stanno rispettivamente alla razza e al sesso.

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VIVISECTION Colour lithograph: “human vivisection”, published inLustige Blatter. Berlin,c. 1910.

Di contro, l’antispecismo si fonda sull’idea che così come la razza e il sesso non sono criteri eticamente rilevanti per determinare il tipo di trattamento che dobbiamo riservare agli individui, allo stesso modo, la specie di appartenenza non dovrebbe essere considerata una caratteristica eticamente rilevante in relazione alla quale giustificare lo sfruttamento e la prevaricazione nei confronti degli animali.
Nel suo libro “Liberazione animale” il filosofo australiano Peter Singer scrive: «Il razzista viola il principio di uguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua razza rispetto a quelli dei membri di un’altra razza. Analogamente, lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in entrambi i casi» (Singer P., 1975, p.29). In entrambi i casi c’è un gruppo che giustifica lo sfruttamento da sé operato nei confronti di un altro sulla base di una distinzione che in realtà è priva di una giustificazione plausibile da un punto di vista morale.

In effetti, il tener conto degli altri non dovrebbe dipendere dalla razza o dalla posizione sociale e neppure dalle facoltà intellettive di questi ultimi, ma piuttosto dovrebbe dipendere semplicemente dal fatto di essere un “qualcuno” e non un “qualcosa”. Credo che una definizione molto esauriente per spiegare questo concetto sia quella di Tom Regan, (scrittore e filosofo americano contemporaneo) che ritiene si debba avere una considerazione morale verso chiunque possa essere definito “soggetto di vita”, ovvero un qualcuno che si percepisce nel mondo ed ha interesse a vivere, indipendentemente da quanto altri possano trarre beneficio da questo.
Secondo Regan tutti gli esseri senzienti sono soggetti di una vita che dovrebbe appartenere esclusivamente a loro. Ciò dovrebbe valere anche per gli animali che, in quanto esseri senzienti, come noi, percepiscono loro stessi il centro psicologico della propria esistenza. Come noi essi sono in grado di provare piacere e dolore e di avere preferenze, bisogni ed interessi che nella misura in cui vengono appagati possono rendere la loro vita più soddisfacente. Come la nostra esistenza ha valore per noi, la loro esistenza ha valore per loro; ma ciò nonostante, scrive Regan: «[…] da sempre gli animali sono trattati, di routine e sistematicamente, come se il loro valore fosse riducibile alla loro utilità per gli esseri umani. […]». (Regan T., 2004, p.283) Essendo i più “forti” gli esseri umani si sono arrogati il diritto di decidere dove e come gli altri animali vivranno e moriranno. Gli interessi di questi ultimi non hanno alcun peso nella determinazione del loro destino.
Il riconoscimento che almeno la maggioranza degli altri animali è portatrice dei nostri stessi interessi fondamentali e condivide con noi una serie di caratteristiche identiche sotto tutti gli aspetti moralmente rilevanti sottolinea che anch’essi dovrebbero rientrare nella sfera della considerazione morale.

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Anatomical instruments on a table used for vivisection. Photolithograph, 1940, after a woodcut, 1543.

Trattare gli animali con considerazione dunque non dovrebbe essere inteso come un atto di bontà da parte dell’uomo, ma come una questione di civiltà, che si rifà a principi morali quali quello di giustizia universale e di rispetto per la vita.
In un articolo del giornale la Repubblica del 9 Novembre 2011 in una lettera rivolta a Corrado Augias il medico Francesco Bombelli scrive: “[…] Sono sconcertato dal trattamento riservato al mo

ndo animale: foche prese a bastonate, cani sepolti vivi dai loro padroni, procioni, cani e gatti scuoiati vivi nelle “fur farms” per ottenerne pellicce e lasciati morire tra atroci tormenti. […] Dovremmo cominciare a guardare agli animali come esseri viventi che meritano, come noi, assoluto rispetto. In difetto vedo poche possibilità che l’umanità progredisca. […] Penso che se si insegnasse questo rispetto forse non sarebbe necessario insegnare quello verso l’uomo, che ne sarebbe una conseguenza. […].” (Augias C., La Repubblica 9 Novembre 2011, p.34) D’altro canto l’atteggiamento degli esseri umani nei riguardi degli animali riflette il generale atteggiamento degli esseri umani nei riguardi del prossimo, e lo specismo non è che un’ideologia che allarga ad una vastissima categoria, quella degli animali, la nostra abitudine a pensare e ad agire secondo convinzioni pregiudiziali che attribuiscono diritti, superiorità e privilegi ad alcuni (più forti) a danno di altri (più deboli).
In quest’ottica la condizione animale può essere considerata come la spietata cartina al tornasole della realtà in cui viviamo, rappresentata, a mio avviso, con grande efficacia dalle parole del premio Nobel per la letteratura, Isaac Bashevis Singer (scrittore ebreo sopravvissuto all’Olocausto), che nel suo romanzo “Nemici, una storia d’amore” scrisse: “Ogni volta che Herman assisteva alla macellazione di animali, compiva sempre lo stessa riflessione: nel loro comportamento verso queste creature, tutti gli uomini sono dei nazisti. L’arroganza con cui gli

esseri umani fanno ciò che vogliono di tutte le altre specie incarna la più razzista delle teorie: il diritto del più forte.” (Singer I.B., 1974, p.31) Lo specismo, d’altra parte, non è che uno dei tanti pregiudizi irrazionali del tutto identico a quelli con cui la nostra specie si è resa responsabile di un ininterrotto susseguirsi di orrori a carico di gruppi umani ritenuti “inferiori” (cioè moralmente assimilabili agli animali). Anzi, per molti pensatori, esso andrebbe considerato proprio l’aspetto fondante di quel pensiero dualistico che istituisce scale gerarchiche tra esseri moralmente simili sulla base di mere differenze biologiche che, come tali, dovrebbero essere completamente irrilevanti sul piano della considerazione etica. In questo senso, lo specismo sussumerebbe in sé tutte quelle ideologie che intendono tracciare una linea invalicabile tra noi e loro, qualunque siano i “noi” e qualunque siano i “loro”, dove ai “noi” sono concessi diritti e dominio e ai “loro” sofferenza e oppressione. In un film documentario del 2005 dal titolo Earthlings (abitanti della terra) viene mostrata la crudeltà che la specie umana perpetua ogni giorno nei confronti delle altre creature senzienti che vivono con noi su questo pianeta (www.earthlings.com).
Si tratta della crudeltà che si nasconde in tutti i luoghi di sfruttamento e morte (come stabulari e allevamenti intensivi) in cui miliardi di animali trascorrono la loro intera esistenza. Tutti questi animali vengono privati della libertà e di tutto ciò che potrebbe rendere la loro vita appagante, per essere trasformati in “strumenti” o “macchine viventi” a servizio degli interessi umani. Ogni anno, ad esempio, l’industria della pelliccia alleva e uccide (il più delle volte con pratiche terribili, come quella di scuoiare gli animali da vivi) oltre un miliardo di animali di varie specie (tra cui visoni, cani, gatti, procioni, conigli, volpi e cincillà), per la produzione di

pellicce ed “inserti” (ossia piccoli ritagli di pelliccia animale con cui vengono rifinite giacche, scarpe, borse e accessori vari). La maggior parte di essi sono allevati in delle piccolissime gabbie nelle quali riescono a malapena a muoversi e dove conducono una vita di prigionia e sofferenza. (www.furcommission.com, http://www.oipa.org/international/fur/fashion.html) Lo stesso vale per gli animali utilizzati nell’industria alimentare. Si pensi solo che le galline ovaiole degli allevamenti intensivi trascorrono tutta la loro esistenza stipate in gabbie così strette da non poter nemmeno aprire e stendere un’ala, appoggiate su un pavimento in rete metallica che provoca loro gravi lesioni e deformazioni alle zampe. Senza conoscere un prato o un raggio di sole questi
animali passano notte e giorno costretti all’immobilità, col becco amputato, le zampe ferite, sotto le luci artificiali dei neon perennemente accese. (www.poultryegg.org, http://www.lav.it/index.php?id=384)
E come non menzionare, infine, l’esempio degli oltre 400 milioni di animali che vengono “sacrificati” ogni anno nei laboratori scientifici: allevati in isolamento, paralizzati, obbligati ad inalare sostanze tossiche, costretti ad ingoiare colle, vernici, pesticidi e disinfettanti, esposti a

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A physiological demonstration with vivisection of a dog. Oil painting by Emile-Edouard Mouchy, 1832.

radiazioni, ustionati, accecati, sottoposti ad amputazioni, operazioni chirurgiche sperimentali e quant’altro. (http://www.lcanimal.org, http://www.lav.it/index.php?id=19)

Grazie, all’assimilazione, in sede teorica, degli animali a beni di proprietà e di consumo è stato reso possibile nella pratica lo sfruttamento e l’uccisione di questi ultimi a vantaggio di qualsiasi interesse umano. Ciò di cui la maggior parte degli uomini non si rende conto è che tutto questo, però, non va a danneggiare solo gli animali ma si ritorce anche contro gli stessi esseri umani: lo specismo infatti non è solamente una posizione ideologica più o meno sostenibile, ma, tramite il suo dispositivo “differenza = gerarchia”, comporta una serie di ripercussioni pratiche che vanno a riflettersi sulla vita di ciascuno di noi.
In un suo saggio sulla sperimentazione animale Francesco Robustelli scrive: “L’ottuso trionfalismo dei fautori della sperimentazione sugli animali si esprime di solito con un elenco delle conquiste scientifiche che sono state realizzate con questo tipo di sperimentazione, soprattutto nel campo della medicina. I fautori della sperimentazione sugli animali danno per acquisito che questa sia un’argomentazione schiacciante che fa piazza pulita di ogni argomentazione contraria. Purtroppo dimenticano di fornire anche un elenco di tutti i danni che ha procurato all’umanità quell’ideologia del potere e della violenza di cui la sperimentazione sugli animali è solo un semplice aspetto.
Ingiustizia sociale, sfruttamento, miseria, intolleranza, guerre, distruzione dell’ambiente: questi sono i risultati della nostra concezione dei rapporti con gli altri. Oggi incombe su di noi il pericolo di una catastrofe ecologica di dimensioni planetarie. Questo perché noi aggrediamo un topo come aggrediamo una balena, come aggrediamo una foresta, un fiume, una montagna, come abbiamo aggredito Anna Frank e come ora aggrediamo i bambini della Bosnia.” (Robustelli F., 1995, pp. 71-72)
Queste parole vanno a sottolineare, dunque, che esiste un presupposto comune alla base di ogni forma di violenza, sfruttamento e prevaricazione che fa capo ad un modello di relazioni di tipo gerarchico, in cui i più potenti dominano e i più deboli soccombono.
Bisogna capire che la lotta contro l’ingiustizia e la violenza non può essere combattuta in un’ottica settoriale, ma andrebbe piuttosto affrontata sulla base di una concezione globale dei rapporti interindividuali. Occorre considerare, infatti, che la violenza non è costituita solo da una serie di comportamenti, ma è innanzitutto un modo di pensare, di sentire e di mettersi in rapporto con gli altri. La violenza esercitata nei confronti degli animali, pertanto, non è soltanto riprovevole per la sofferenza inflitta ad essi, ma anche perché è l’espressione e la giustificazione di quel sistema di valori basato, per l’appunto, sull’esercizio del potere da parte di chi è più forte su chi è più debole. Se si avalla la violenza nei confronti degli animali si avalla quindi anche questo sistema di valori e di conseguenza tutte le forme di violenza fondate sulla sopraffazione. Non a caso, George Thorndike Angell, importante criminologo impegnato in molte campagne contro la violenza sugli animali, nonché Presidente dell’American Humane Education Society e della Massachusetts Society for the Prevention of Cruelty, quando gli chiesero perché spendesse tanto tempo e denaro per promuovere diritti e rispetto per gli animali invece di dedicarsi maggiormente ai problemi dei suoi simili rispose: “Io lavoro alle radici”.
D’altro canto finché conviveremo con la brutalità verso gli animali, in quanto appartenenti ad una specie differente dalla nostra, sarà sempre possibile il passaggio ad un analogo comportamento nei confronti di altri esseri umani, magari perché appartenenti ad un’altra razza o ad un’altra religione o comunque semplicemente perché portatori di idee o di interessi che possano divergere dai nostri. Da un punto di vista psicologico, in fondo, la struttura di quel complesso processo che è l’instaurazione del rapporto con l’“altro” è sempre la stessa, sia che si tratti di rapporti tra uomini e donne, tra giovani e anziani o tra esseri umani e animali. Per questo non sarà possibile contrastare davvero l’ingiustizia, la prevaricazione e lo sfruttamento tra gli esseri umani finché continueremo quotidianamente a legittimare il nostro atteggiamento di dominio assoluto sugli animali, facendo ricorso alla giustificazione che appartengono ad una specie diversa dalla nostra.
Dobbiamo renderci conto, infatti, che l’unica strada che può opporsi veramente alla violenza è quella della tolleranza e della stigmatizzazione di qualsiasi crudeltà, perciò solamente se faremo del rispetto per tutti gli animali una norma di vita potremo pienamente superare la concezione gerarchica dell’esistente e con essa ogni forma di prepotenza e di sfruttamento. Occorrerà, allora, educare le future generazioni al rispetto, all’empatia e alla coerenza del comportamento, perché solo così potremo sperare di arrivare al giorno in cui anche la crudeltà verso gli animali verrà considerata abietta anziché normale e la violenza nei loro confronti sarà punita anziché regolamentata da leggi.
“I have a dream” proclamò in un giorno divenuto indimenticabile Martin Luther King, nero in un paese di neri umiliati dai bianchi”: sognò che la fratellanza prendesse il posto dell’odio, che la libertà e la giustizia sostituissero l’oppressione, che dalla disperazione nascesse la speranza. “Anche noi abbiamo un sogno e anche il nostro è un sogno di giustizia, di riscatto, di trasformazione epocale, che urge verso la sua necessaria realizzazione.
Il nostro è il sogno di vivere in un mondo dove ogni essere vivente abbia diritto al rispetto; di spezzare per conto degli animali l’ultimo anello della catena in cui il più forte abusa del più debole. […]. Noi abbiamo questo sogno: perché senza la fine della violenza sugli animali nessun progresso sarà mai tale; né la vittoria sul dittatore avrà valore se il nuovo vincitore ancora festeggerà con tavole imbandite delle solite vittime.” (Manzoni A., pp.13-14)

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