La bellezza nonostante – Fabio Geda

Potrebbe calzare come traccia per una sceneggiatura, questo racconto di Fabio Geda, torinese, classe 1972.  Èuna storia di vita e di rapporto quotidiano tra un insegnante e i suoi alunni un po’ “speciali” , gli ospiti del carcere minorile Ferrante Aporti di Torino.

Alcune pagine vuote, evocative, con una parola solitaria al centro perché la scrittura non sempre vuole riempire la pagina, ma svuotarla. Il vuoto di un non-luogo atemporale: il carcere. Dove la semplicità comune diventa difficoltà quotidiana e mortificante: «intanto, invento modi per sostituire, nella loro vita, l’accidia con la curiosità, il disorientamento con la geografia, il gesto con la parola».

Una scrittura elementare, il cui uso –forse eccessivo – della metafora è mitigato da un lessico leggero che “sciacqua” l’adolescenza narrata dalla pesantezza del carcere. Una scrittura che, complice un uso molto libero della punteggiatura, riduce ai minimi termino o azzera la distanza tra scrittore e lettore

È il 1982 e l’autore viene chiamato a fare il maestro in un carcere minorile: «un astronauta in partenza per il cosmo». La prospettiva dalla quale racconta è quella «di chi tiene il gessetto dalla parte del manico e, sul collo, il fiato tagliente della responsabilità». Una sciarpa e un cappello sono la sua corazza.

L’ingresso: «quando il portone si è spalancato c’erano due ali di ragazzi ai lati del corridoio…che m’hanno piantato gli occhi addosso a colpi di martello».

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