
APPUNTI SU “UNA MATERIA INCANDESCENTE E CARNALE
Chi sono le “Iratae” di questa profonda immersione gotica e visionaria che cattura l’incauto lettore per fascinazione uditiva? Da quale lacuna della storia ci giunge il loro dialogo a distanza intimo e segreto, magnifico e rabbioso?
Sicuramente donne in rivolta appartenenti alla folta schiera delle eretiche, le protagoniste di una storia diversa del femminile obliata da secoli di cultura fallocentrica, la stessa che nel XVII secolo istituì un tribunale speciale detto “Camera Ardente”.
Occasione ulteriore per perpetrare una violenza di stato contro la donna, la quale, secondo la morale del tempo, è predisposta già solo in virtù del proprio corpo alla prostituzione diabolica, alla lussuria, ai traffici occulti, insomma una pericolosa dissolutrice dell’ordine costituito.
Casuale o no che sia l’allusione simbolica dell’appellativo giuridico di ‘camera ardente’, il legame con la stregoneria dell’“affare dei veleni (16701680) è certificato negli atti di un processo che si eleva a paradigma storico ed esistenziale.
I fatti sono noti: tradimenti, stregonerie, avvelenamenti e intrighi a Parigi alla corte di Luigi XIV.
Antonella Rizzo e Maria Carla Trapani, poetesse e performer, quasi invocano medianicamente gli spiriti delle due eroine nere di questo famoso scandalo: Marie Madeleine d’Aubray, Marchesa de Brinvilliers e Olimpia Mancini, nipote del Cardinale Mazzarino, donne “di tenebra e luce” precipitate dal loro trono. E sebbene poi i fatti, in queste pagine, restino sullo sfondo quasi a pretesto di una violenza sacrificale, è l’anima piagata delle condannate ad essere dietro lo specchio ustorio per infiammare l’intera prospettiva di un’epoca.
Le autrici riportano alla ribalta il genere del Contrasto, composizione poetica dialogata adatta alla messa in scena, ma qui l’intreccio di voci sembra amplificato, si fa cassa di risonanza di una sofferenza tutta moderna, il dolore sembra unire sincronicamente nello stesso grido straziato le giustiziate di ieri e di oggi.
Sono nostre contemporanee tutte le lapidate, le impiccate, le vendute o infibulate.
Le file di schiave incatenate all’odio ideologico fondamentalista sono il nostro medioevo pre-illuministico, in regimi teocratici che distano poche ore di volo, possiamo incontrare le nostre antiche sorelle dei roghi.
Ed ecco dalla polvere dei secoli l’epifania incandescente di queste pagine: come sapienti alchimiste la cui gloria mondana è trapassata nella mortificatio, queste due nobildonne si innalzano a signore dei veleni e trasformano l’elisir di vita della loro voluttà in veleno mortale.
Siamo con loro nell’alambicco della macerazione, cella di Bastiglia o pianura arida dell’esilio, con loro, adoratrici innamorate della croce:

Dell’Era dell’arsenico dicono che tu fosti madre, Marie Madeleine, madre innamorata della croce, la croce del tuo Saint-Croix…
Sono molte le parole forgiate sull’immaginario simbolico della tradizione esoterica (dalla Croce alla Coppa, dall’Oro alla Luce) che ci fanno intuire come le protagoniste abbiano attinto abbondantemente dalla vena sotterranea di una cultura fuorilegge come quella della magia.
L’Inquisizione condanna e combatte senza requie la magia cerimoniale, la sperimentazione, la realizzazione di misture, droghe o infusi, e ogni donna che trasgredisce è alleata del diavolo. Dunque più è forte la trasgressione più è vasta la coscienza della propria autonomia di pensiero, e ancor più si cerca di essere padrone del proprio corpo:
E la ribellione, la ribellione del pensiero, diviene aspersione…
E se l’alchimia è lavoro della consapevolezza, si ritrova il senso di questa Nigredo, di questa discesa (oseremmo dire mistica e quasi gioiosa) nelle camere di tortura, di questa passione cristica sulla carne, rito dionisiaco che ha ormai sostituito la furia erotica della giovinezza:
Ah, gioia invadente e sottile… posuisse virginiculam super me…
La confessione è croce sacrificale, via diretta alla resurrezione. O illuminazione, che dir si voglia. Inevitabile conclusione di questo lento e difficile percorso dell’autoconoscenza femminile:

Il mio grembo sia il tumulo vasto delle mie parole.
L’influsso della Luna scandisce i tre tempi di questa drammaturgia lirica; e non è la sua luce fredda che alimenta la pianta lunare per eccellenza, la Cicuta?
Allora in questa circolarità di richiami e metafore non possiamo non riportare le parole di Maria Zambrano che si modellano perfettamente a questa “pericolosa” tipologia di donna-fiore: “Strano veleno nato dalla quiete di questo fiore che non può essere innocente nemmeno di giorno perché, smanioso come un pensiero che non giunge ad esserlo perché privo dell’indispensabile favilla, guarda affacciandovisi perfino, tra le sbarre di una finestra che potrebbe ben essere quella di una cella; bianco, sempre più bianco nel suo dispiegarsi che fa pensare a una massa cerebrale, in atto di offrirsi come una santa, promessa alla santità della morte accelerata col solo aver pensato. Evento che lei, la cicuta, sembra
non aver dimenticato, non poter dimenticare mai”.
Ti ricordi, madre Marie Madeleine… Sì che la ricordi, come ricordi quel piccolo diario dai bordi anneriti…
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Carpirò l’essenza del vostro pensiero mia dama. I ricordi riaffiorano come cadaveri a pelo d’acqua.
Le nostre autrici mettendo in scena tanto fuoco interiore sembrano suggerirci che in fondo queste due avventurose avvelenatrici altro non furono che Fabbricanti d’Oro.
Letizia Leone
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