
Per saltare sopra la propria ombra… a cura di Letizia Leone
Come tracciare il confine tra lo spazio degli immersi e quello dei sommersi?
Questa l’interrogazione che apre la ricerca artistica di questo ultimo numero della nostra Rivista. Questo il compito che grava da sempre la parola della poesia dato che la poesia costituisce l’esperienza più essenziale del linguaggio. Una parola carica di “ombra”, che porta in sé silenzio ed infinito. Una parola che, come ci chiarisce Heidegger, non è segno ma “cenno” e dunque ha bisogno di “un campo di oscillazione amplissimo (…) nel quale i mortali si muovono in un senso e nell’altro…” e la soglia, il limen, quella porta sensoriale oltre la quale vediamo o percepiamo un al di là del mondo, della poesia, del linguaggio e del senso.
Tra i massimi poeti contemporanei dell’attraversamento è lo svedese Kjell Espmark (1930). L’ultimo libro “La Creazione” pubblicato in Italia nella traduzione di Enrico Tiozzo, Aracne Editrice, 2016 con una prefazione di Giorgio Linguaglossa esemplifica la forza della grande poesia nel sondare e aprire nuove prospettive elaborando continuamente quel sentimento dell’inesprimibile del quale ci ha parlato Wittgenstein.
Scrive per l’appunto Linguaglossa nel suo continuo definire, abbozzare e denunciare la fisionomia del poeta del “Dopo il Moderno”: “Le «ombre» commerciano con i vivi. Ci sono molte «ombre» in queste poesie, e noi non sappiamo chi sia più vivo, se le «ombre» o i vivi:
Trovai sì l’ombra del mio amato
ma brancicò sopra di me senza riconoscermi.
Allora passai la goccia di sangue sulle sue labbra,
l’ombreggiatura più scura che erano le sue labbra,
e lui stupì-
Questo «passaggio» tra le «ombre» è un Um-Weg, una via indiretta, contorta, ricca di andirivieni, di anfratti. Ma percorrere un Umweg per raggiungere un luogo non significa girarvi attorno invano – Umweg non è Irrweg (falsa strada) e nemmeno Holzweg (sentiero che si interrompe nel bosco) – ma significa compiere una innumerevole quantità di strade, perché la «dritta via» è impenetrabile, smarrita e, come scriveva Wittgenstein, «permanentemente chiusa». Non v’è alcuna strada, maestosa e tranquilla, come nell’epos omerico e ancora in Hölderlin e in Leopardi, che sin da subito mostri la «casa», il luogo dal quale direttamente partire per ritrovare la patria da dove gli dèi sono fuggiti per sempre.”
Questa la forza straniante di certi versi con i quali è necessario confrontarsi nella ricerca di una parola poetica deviante come mostrano i poeti esposti in questo numero:
Helena Caruso
Michael Crisantemi
Daniela De Nicolò
Patrizia De Vita
Francesco Di Giorgio
Angela Donatelli
Simona D’Urbano
Franca Palmieri
Simona Petrecca
Flavio Rivabella – ErMedicus
Il Focus HAIKU, curato da Dona Amati, verterà su Iratsume “custode dell’amore”.

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