Il nono InVerso

Il titolo dell’ultimo tema proposto da Diwali ha un suono forte e sinistro: “Osceno-animale”. Osceno dal latino obscenus, nel senso di cattivo augurio e dunque laido, immondo, ripugnante accostato ad animale, ambiguamente, nel senso qualificativo di istintuale e brutale oppure nell’indicativo delle specie “non-umane” del vasto regno animale, per l’appunto… Eppure Osceno-Animale ci cattura in una dimensione quanto mai attuale, ci convoca forzatamente di fronte alla scena (così rimossa) del profitto disumanizzante, dell’industria della carne con numeri di produzione apocalittici, ci chiama all’orrore della macellazione oppure a sperimentazioni e dissezioni da laboratorio, insomma al continuo strupro quotidiano perpetrato sull’innocenza animale.

L’animale oggi ci convoca a ripensare un’idea di coscienza lontana da quelle che erano le posizioni di Kant, il quale considerava l’animale una cosa, escludendolo dal campo del diritto e della morale.

Di sicuro il mondo animale non si può più ridurre alle categorie di pensiero dell’uomo, non si può assoggettare ai suoi fini predatori e utilitaristici.

Bisognerebbe ricominciare a guardare l’animale nella sua sacralità con lo sguardo incontaminato del poeta: Rilke per esempio…

Se ci fosse coscienza della nostra specie,
nel sicuro animale che pur per altra via
ci viene incontro -, lui ci rigirerebbe
col suo andare. Ma per lui, l’essere suo
è infinito, è sciolto e senza sguardo
sul suo proprio stato, puro come il suo sguardo

        sull’Aperto.

                                             (Elegie Duinesi,VIII Elegia)

Andrea Borrelli nelle sue poesie riflette sulla condizione interiore di dissociazione dell’uomo postmoderno. In particolare nel testo “Pro“e nel sonetto “Sorbetto (tra una portata e l’altra)” si rivela efficace la tecnica dello straniamento nel momento in cui una blatta apre all’autoauscultazione o un paesaggio invita alla contemplazione rivestendosi di sembianze animali.

Con il suo verso nudo e scarnificatodi “Scarti alimentariIunio Marcello Clementi mette a fuoco con incisività uno stato d’animo e insieme una condizione esistenziale generale di disfacimento e solitudine.

Davide Cortese in “Centauro” dietro le parvenze di un misterioso simbolismo mitico evoca la forza mai estinta della poesia e della sua presa sul mondo.

Diego Maht con “La finestra di fronte” sviluppa la composizione sul principio di degradazione. In un movimento di amplificazione dell’assurdo deflagra la disumanità del contemporaneo, accentuata dal contrasto tra sentimenti e bruta materialità.

Roberto Marzano mette in dialogo il suo testo “L’animale che ho in testa” conl’opera di Giulia Bragalone, a sua volta  ispiratasi ad una canzone dei Liftiba. E non a caso si tratta di un testo fortemente musicale grazie alla fitta tessitura fonoprosodica e ad un ritmo serrato e incalzante.

Simone Ramello mette in scena un dialogo silenzioso tra padre e figlio: attraverso il loro sguardo ci giungono le immagini ‘oscene’ delle contemporaneità, dalla mercificazione dell’uomo alla violenza sulla natura. In questo gioco perverso i ruoli si fanno ambigui: il ruolo preda-predatore è tutt’altro che scontato.

Letizia Leone

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