Il calderone, i cadaveri e il tè con le amiche

Corrono gli Anni Quaranta, quando l’opinione pubblica italiana viene scossa da una serie di atroci omicidi avvenuti nel tranquillo paese di Correggio, in Emilia Romagna.

L’accusata è Leonarda Cianciulli, soprannominata “la saponificatrice di Correggio”, prima serial killer italiana che passerà alla storia per aver ucciso e fatto a pezzi tre donne, sciogliendo i loro cadaveri nella soda caustica per poi usarli nella produzione di sapone e pasticcini.

Leonarda Cianciulli nasce nel 1893 a Maiella, in provincia di Avellino. La sua infanzia è segnata, sin dal concepimento: è il frutto di una violenza subita dalla madre da un compaesano, successivamente sposato. Crescerà considerata un peccato, “frutto della vergogna” e non conoscerà mai l’amore della madre. Tenuta in disparte, evitata persino dai suoi fratelli, passerà le giornate in solitudine a parlare con amici immaginari: «Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso. Non avevano per me le attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava perché non aveva desiderato la mia nascita (…) Ero infelice e desideravo morire (…) cercai due volte di impiccarmi», scrisse nel suo memoriale Le confessioni di un’anima amareggiata, nel 1946.

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Passano gli anni. Leonarda inizia a frequentare la scuola, è una bambina dall’aspetto mascolino, socievole e simpatica, gode della stima dei compagni. È catapultata in un mondo nuovo, un mondo di amicizie e di primi amori. All’età di ventitre anni si innamora perdutamente di un giovane, Raffaele Pansardi, che presto sposa, andando contro il volere della madre che l’aveva già promessa in sposa ad un suo cugino. Il giorno delle nozze la madre, che non accetterà mai la ribellione della figlia, le lancia una maledizione: «nessuno dei tuoi figli sopravvivrà. Io maledico te e i tuoi figli».

Per anni l’incubo di questa maledizione tornerà per tormentare Leonarda, anche dopo la morte della madre. Delle sue diciassette gravidanze, otto si interromperanno prima del termine; gli altri figli moriranno in tenera età, improvvisamente, in culla. Ne resteranno in vita solamente quattro. Leonarda attribuisce la disgrazia al malocchio gettatole dalla madre, e rivede il suo volto minaccioso negli incubi che continuano a perseguitarla, sempre più spesso.

È disperata e cerca l’aiuto di maghe e fattucchiere per liberarsi dalla maledizione.
Nel 1930 il violento terremoto che colpisce l’Irpinia distrugge completamente la sua casa, costringendo l’intera famiglia ad abbandonare la propria terra: fuggono con poche valigie di cartone, dentro gli abiti usati. Trovano rifugio a Correggio. La situazione economica dei primi tempi è estremamente disagiata, soffrono fame e miseria, ma Leonarda, ossessivamente attaccata ai propri figli, cerca di non far mancare nulla. Improvvisa un nuovo lavoro, vende abiti di seconda mano, fa la cartomante leggendo il futuro alle donne del paese. Qualche tempo dopo, la famiglia riscuote una somma di denaro dallo stato per la perdita della casa nel terremoto e inizia una nuova vita: il commercio degli abiti usati va a gonfie vele, le finanze migliorano notevolmente.

Leonarda è ora una donna stimata a Correggio, diventa un importante punto di riferimento: è la madre di famiglia, la casalinga perfetta, gentile, intelligente. La sua casa è sempre piena di donne che hanno bisogno di un consiglio, che vogliono conoscere il futuro in cambio di denaro, che si confidano con lei, passando insieme interi pomeriggi in questo “salotto del tè con gustosi pasticcini” offerti dalla padrona di casa.
La maledizione della madre sembra essersi placata, ma sta per succedere qualcosa che, di lì a pochi anni, ne riporterà in vita l’incubo.

Intanto, una sera, il marito di Leonarda esce di casa senza fare più ritorno, sparendo in circostanze misteriose e facendo perdere per sempre le sue tracce. Leonarda supera anche la perdita del marito, ha la tranquillità economica e persino una nuova relazione amorosa con Abelardo Spinelli; ma avverte una sorta di cattivo presentimento. In quegli anni l’Europa viene sconvolta dalla guerra e il suo amatissimo primogenito Giuseppe, insegnante al Collegio Nazionale di Correggio, sta per essere chiamato alle armi. Il terrore per la perdita del figlio inizia a ossessionarla, angosciarla, tormentarla. Successivamente racconterà al processo che in sogno, in una notte di tormento, le apparve la Madonna annunciandole che l’unico rimedio per salvare la vita a Giuseppe fosse quello di sacrificare altre vite, compiendo sacrifici umani.

La Cianciulli è pronta a tutto, anche a uccidere. Senza pensarci troppo decide di mettere in atto la crudele idea del sacrificio. Uccide tre delle sue amiche, donne sole e non più giovanissime, ma che ancora coltivavano la speranza che la vita potesse riservare loro qualcosa di bello.

La prima vittima della Saponificatrice è Faustina Setti, di settantatre anni, che non ha mai smesso di cercare la sua anima gemella. La donna segue scrupolosamente i consigli della Cianciulli, perché quest’ultima ha promesso di metterle sulla strada un uomo solo, benestante, ansioso di conoscerla. La Setti, inconsapevole dell’inganno, vende tutti i suoi beni, va dal parrucchiere, si tinge i capelli, acquista un vestito nuovo. Prima di partire passa a salutare la sua benefattrice. La Setti segue anche un altro consiglio della fattucchiera: scrive una lettera alle amiche per tranquillizzarle della sua assenza, ma non rivelerà il vero motivo della sua partenza per Pola. Non finirà nemmeno di rileggere la lettera ad alta voce che un violento colpo di scure le fracassa la testa. Il corpo viene trascinato nel ripostiglio e fatto a pezzi con l’aiuto di un’ascia e di una sega. I pezzi più grossi del cadavere sono sciolti in un pentolone insieme alla soda caustica e mescolati fino a ottenere una sostanza grassa, scura e vischiosa, gettata poi nel pozzo nero. Il sangue raccolto viene coagulato, seccato al forno e unito a zucchero, farina, margarina e spezie, per cucinare i biscotti da offrire ad amiche e clienti. L’incubo della maledizione ritorna, nel sogno, a distanza di anni: le appare nuovamente la madre. La Cianciulli è convinta che la catena dei sacrifici non può spezzarsi. Se vuole salvare il proprio figlio deve continuare con i sacrifici umani.

Undici mesi dopo, lo stesso crudele destino tocca alla seconda vittima: Francesca Soavi, cinquantacinque anni, che per guadagnarsi da vivere gestisce un asilo nella propria abitazione. La Cianciulli, grande manipolatrice, le annuncia che un suo amico sacerdote è intento ad assumerla nel proprio collegio come insegnante. Deve partire immediatamente per Piacenza, non c’è tempo da perdere, altrimenti qualcun’altro le soffierà il posto.

La terza vittima è Virginia Cacioppo, cantante lirica durante la giovinezza, professione che abbandona nel corso degli anni. Eppure il sogno di cantare e l’atmosfera del teatro, il pubblico, le voci, gli applausi non si sono mai spenti per lei. La gioia che la coglie quando la Cianciulli le annuncia che ha da proporle un lavoro è incontenibile: segretaria di un direttore di teatro a Firenze. Si raccomanda però di non farne parola con nessuno. La Cacioppo non arriverà mai a destinazione: « …finì nel pentolone come le altre due (…) ma la sua carne era grassa e bianca: quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e dopo una lunga bollitura ne vennero fuori delle saponette cremose. Le diedi in omaggio alle vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce (…)».

La Cacioppo però aveva infranto la promessa fatta alla Cianciulli e non mantenendo il silenzio: pochi giorni prima di morire aveva scritto una lettera a sua cognata, confidandole la sua felicità per il nuovo impiego. La donna, Albertina Fanti, si precipita a Correggio il 26 dicembre del 1940, annunciando la scomparsa della cognata, mostrando ai carabinieri la lettera da lei ricevuta e rivelando un sconvolgente dettaglio: il teatro di cui la cognata faceva parola nella lettera in realtà non esisteva.

Intanto nel paese iniziano a correre le voci: chi è Leonarda Cianciulli?

Una cartomante, una maga, una strega, un’assassina?

La Fanti ha uno straordinario senso investigativo, è determinata a far luce sulla scomparsa della cognata e delle altre due donne, pienamente convinta che siano state anch’esse vittime della Saponificatrice. Il commissario Serrao del commissariato di Reggio Emilia apre un’inchiesta, ma non ci sono prove sufficienti contro la Cianciulli per poterla incriminare per triplice omicidio.

Nel marzo del 1941, in una perquisizione della casa della donna, vengono trovati gli abiti della Cacioppo. Ma non è ancora una prova schiacciante: l’attività della Cianciulli è la vendita di abiti usati.

Le indagini continuano e grazie alla Fanti emerge un nuovo importante indizio: un buono del tesoro serie H numero 241985 appartenente alla Cacioppo. Il buono viene fermato dalla banca quando il parroco di Correggio lo cambia in denaro. L’uomo viene arrestato insieme al rigattiere Spinabelli dal quale, sostiene, ha ricevuto il buono. Il rigattiere a sua volta dichiara di aver ricevuto il buono dalla Cianciulli. Si proclamano innocenti, assolutamente estranei ai fatti. Vengono rilasciati in mancanza di prove a loro carico. Viene trovato, nel frattempo, anche un misterioso mattone che il rigattiere avrebbe ricevuto in custodia dalla Cianciulli. All’interno del mattone la polizia ritrova i gioielli della Cacioppo.

Le indagini proseguono e il cerchio intorno alla Cianciulli, l’unica indiziata, inizia a stringersi. Durante la seconda perquisizione nella sua abitazione vengono ritrovati, all’interno del pozzo nero, le prove schiaccianti che la incrimineranno con l’accusa di triplice omicidio: avvolti in un pezzo di giornale macchiato di sangue vengono scoperti una dentiera in porcellana con i quattordici denti appartenenti alla prima vittima della saponificatrice, Faustina Setti, e un pezzo di cranio.

Nella cucina degli orrori la polizia trova una scure, una mannaia, una sega e il pentolone usato per far bollire le vittime. La Cianciulli confessa.

Insieme a lei viene fermato il figlio Giuseppe, accusato di complicità nei crimini, ma la Cianciulli si professa l’unica responsabile. Viene arrestata e condotta nel manicomio giudiziario di Aversa.

Durante il processo, che a causa della guerra durerà fino a luglio del 1946, l’imputata ripete più volte che ha agito senza alcun complice: «Mio figlio è innocente, torturatemi, fatemi a pezzi se volete ma io ripeterò fino alla morte che ho fatto tutto da sola (…) Sono io il mostro, io la saponificatrice, io la strega (…)».

Non ci sono prove schiaccianti della colpevolezza di Giuseppe, tuttavia la Cianciulli non viene creduta dai giudici: non si capacitano di come una donna sola abbia potuto commettere tali crimini atroci senza che qualcuno l’abbia aiutata.

La Cianciulli chiede di essere messa alla prova per dimostrare il proprio modus operandi: «metta a mia disposizione un cadavere e gli strumenti che mi avete sequestrato e vi dimostrerò che posso farlo in un quarto d’ora».

Viene portata in un obitorio, le viene sottoposto il cadavere di un vagabondo. Con l’aiuto degli attrezzi dell’orrore lo smembra in dodici minuti.

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In Tribunale, durante il processo, riemergono i dettagli degli altri delitti commessi. Chiestole per l’ennesima volta in che modo faceva sparire definitivamente le sue vittime, l’imputata racconta:

“Dopo aver fatto a pezzi il cadavere mettevo la caldaia sul fuoco alle ore diciannove e per tutta la notte la lasciavo andare, fino alle quattro del mattino. Il calderone conteneva cinque chili di soda caustica in ebollizione. I pezzi non adatti alla saponificazione, deposti in un bidone a parte, li versavo un po’ nel gabinetto e un po’ nel canale, che scorre vicino casa mia. Mi accorsi che nel sapone c’erano pezzi più duri. Erano le ossa che  non ero riuscita a saponificare, ma che pure erano divenute fragilissime (…) Il sangue di solito lo riunivo alla marmellata con cioccolato, aroma di anice e vaniglia oppure garofano e cannella (…) Ci mettevo anche un pizzico della polvere ricavata dalle ossa delle morte (…).”

La Saponificatrice di Correggio, nella prima perizia psichiatrica, risultò in pieno possesso delle sue facoltà mentali: «Nella sua follia questa orrenda donna agì con sorprendente lucidità». Solamente la seconda perizia psichiatrica, effettuata dal professor Filippo Saporito, docente universitario di Roma e direttore del manicomio giudiziario di Aversa , giudichò una seminfermità mentale.

Il giorno dell’ultima udienza l’aula era piena di curiosi, l’imputata e il figlio rinchiusi nella gabbia.

Il Presidente della Corte inizia la lettura del verdetto: “L’imputata è colpevole di aver barbaramente ucciso le tre donne. Viene condannata a trent’anni di carcere e tre anni di manicomio.” Il figlio Giuseppe venne scarcerato per mancanza di prove.

Con il verdetto cala il sipario sulla terribile vicenda della Saponificatrice di Correggio, che in carcere inizierà a scrivere il suo memoriale, raccontando la propria vita. Ricorderà le sue vittime, chiedendo il loro perdono.

«Non ho ucciso per odio o avidità, ma solo per amore di madre. Solo una madre può comprendere ciò che ho fatto io. La legge mai. Forse la scienza mi ha compreso (…)».

La vita di Leonarda viene stroncata da un’apoplessia cerebrale. Muore a settantotto anni nel manicomio criminale di Pozzuoli.

 

Anna J. Lagoda

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