In questi versi di Alessandro Dantonio guardiamo alla terra, ai campi, alle mani e ai piedi dell’uomo che lavora e che conosce la fatica. In un quadro sapientemente dipinto che rimanda alla tradizione verista di Verga, alle tele di Gustave Millet, fino alle immagini cinematografiche de ‘L’albero degli zoccoli’ di Olmi o ‘Riso amaro’ di De Santis, leggiamo la lettera -malinconica e dura- di un figlio al padre.
Gli aridi campi
Gli aridi campi
La scelta di mio padre
È un damasco grigio
Intarsi a legno
Come bassorilievo
La postura medita
Il treno dalle risaie continua la corsa
Di fatto nella campagna intorno versano
Il canto gli uccelli piccoli
E brevi voli
Quelli d’ala grande.
Ho seppellito mio padre
Con una vampa di piacere effimero
E negli occhi
L’agave della miseria
L’inusitato luogo
Oltre la tarda ora.
Non sono più le manciate di terra ai piedi
E le grasse larve tra le dita
Ora che al tramonto le grandi fabbriche più non bisbigliano
E da lontano il cimitero
Pare il luogo di un altro posto
Dove chiudere la notte
Sprangata.
Su quale misura siamo io e te ora
Quella che vivi tu
Su aridi i campi
E da vivi si suole scoraggiare
L’arsa parola.
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