È un ricondurci al vero significato dell’esistenza, quello di Francesco Vitellini per il quale nel suo sonetto, la cosa più preziosa in un vissuto a noi molto caro sono i piccoli particolari, sconosciuti a chi ne è al di fuori, e custoditi gelosamente nel proprio venerato tempo-tempio e dei quali rimarrà un giorno solo cenere, essenza eterna del loro essere esistiti. Ed è dunque anche “Isole”, un’osservazione critica all’importanza data solo all’apparire, che di contro ci rende deboli all’interno e soli, prigionieri di alte mura innalzate dentro le quali ognuno è sovrano e custode del nulla.
Laura Di Marco
LA CENERE DELLE COSE PICCOLE
Capita, a volte, nelle grandi storie
che quanto è più minuto è più prezioso,
piccolo scrigno pieno di memorie
santuario con un volto luminoso,
e non si nota o si vede da fuori.
In questo tempio sacro e silenzioso
sublimano le gioie ed i dolori
non più d’entrambi che un quadro brumoso.
La vita li consuma poco a poco,
lasciando solo ceneri nel vento,
bruciando nel profondo come foco.
Nel vuoto che rimane, un sol lamento
dà voce a un canto antico, un canto fioco,
un canto di mancanza e struggimento.
ISOLE (CANZONETTA)
Viviamo l’epoca delle mollezze,
troppo attenti soltanto al godimento
in ombra la realtà,
in cerca di carezze
temendo ogni momento
l’onesta forza della verità.
Sostieni un cupo inferno affisso in volto,
quell’orizzonte dell’eternità,
con bagagli, legione.
Per vanità hai colto
l’unica verità:
manca il buonsenso e nasce la prigione.
Liberazione, non della ragione
ma dalla stessa, ch’essa non può torre
quel che non comprende.
La sua maledizione,
l’oscura e triste torre,
lascia ferite che vincon le bende.
Quanto più triste è creduta la vita,
critico che s’è fatto apologeta,
quanto più si dispera,
tanto a fondo precipita
la mente, tant’é inquieta,
che oltre l’eccesso è la meta più vera.
Recinti ed alte mura per confini,
nel suo deserto ognun si fa sovrano
del regno in cui dimora
temendo si rovini
la stele che sta invano.
Un monumento al vento che divora.
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