Figure del desiderio – Roberto Mastroianni

 Figure del desiderio : La pittura kairotica di Sonia Ros

L’uomo è un animale desiderante: desidera ciò che non possiede e la sua struttura psichica è regolata da quella dimensione che viene chiamata “mancanza”. Il desiderio è, da questo punto di vista, una tensione caratterizzata da un intervallo spaziale e temporale tra ciò che si desidera e l’incontro con l’oggetto/soggetto che soddisfa il desiderio. Desiderare, in questa prospettiva, significa produrre una concatenazione di eventi di natura psichica, simbolica e materiale che mettono insieme pulsioni, materialità inorganica, e rappresentazioni. L’uomo è, infatti, un animale simbolico (oltre che desiderante), dotato di una capacità (la rappresentazione produttiva) di “mettere in forma” sé stesso ed il mondo, attraverso un’attività di padroneggiamento percettivo e interpretativo della “cosalità brutale” (l’ambiente e le cose materiali che lo compongono) e della propria “realtà bio-psichica”. La soggettività e il mondo sono infatti legati da una relazione di natura polimorfica e plurale, al contempo, biologico-pulsionale, materiale e simbolica.

Che si intenda la struttura psichica come un “teatro del sé” (Freud) o come “macchina desiderante”[1] (Deleuze e Guattari), il desiderio e la rappresentazione sono elementi fondamentali della presenza dell’uomo nel mondo, che è caratterizzata dalla dimensione della “carenza/mancanza” e dalla capacità “immaginativo produttiva”. La realtà umana (individuale e collettiva) è infatti popolata di immagini di natura psico-semantica dalla funzione vincolante, che hanno il compito di delineare i contorni del pensabile, quindi del dicibile e del rappresentabile, grazie al quale l’uomo orienta la propria azione nel mondo. Il desiderio ha però una natura ambivalente: da una parte, desiderare significa attivare/produrre/agire/subire un immaginario, che travalica la realtà rendendola, in qualche modo, “opaca”, “porosa”, al fine di “padroneggiarla” e, in qualche modo, “sovvertirla” alla ricerca della soddisfazione di una “mancanza” (questo perché il desiderio implica sempre il cambiamento e l’alterità); dall’altra, questa tendenza al cambiamento per potersi manifestare e sopravvivere deve essere incanalata, controllata “addomesticata”, attraverso un “catalogo dei desideri possibili” che noi chiamiamo “immaginario”. Questa “ambivalenza del desiderio” ha sempre una struttura narrativa[2] e figurale: il nostro immaginario è popolato di forme e figure e noi attribuiamo agli oggetti i nostri valori soggettivi, ancorché culturalmente determinati, e in questo modo ci definiamo come corpi e soggetti sociali e quindi come individui riconoscibili. La produzione artistica in generale, in questa prospettiva, è uno strumento privilegiato della rappresentazione del nostro immaginario e della forza desiderante che lo muove, in quanto la realtà è, in qualche modo, “opaca” e “porosa”, mentre, come direbbe Camus, “se fosse ‘chiara’ (‘trasparente’) non vi sarebbe bisogno dell’arte”.

Alcuni artisti fanno del desiderio e della sua capacità di “mettere in figura il mondo” il tema principale del loro lavoro: questo è, ad esempio, il caso di Sonia Ros. La sua ricerca artistica si propone di indagare il rapporto tra desiderio, realtà e umanità, mettendo in scena le “figure del desiderio”, attraverso le quali questo rapporto prende forma. La produzione artistica di Sonia Ros è interessata, in questa prospettiva, a portare a rappresentazione in modo anti-narrativo, attraverso una pittura colta e raffinata, “il momento stesso in cui il desiderio incontra la realtà”. Questo gesto creativo produce un’ “epifania del corpo”, che è prodotta dalla rappresentazione e manifestazione del corporeo inteso come lo spazio in cui il flusso dei desideri prende forma..

 

Il tempo del desiderio e l’epifania del corpo

 

Immagini del tempo e dello spazio, immagini del tempo nello spazio, immagini dello spazio nel tempo,  immagini, in cui si cristallizza la temporalità nella spazialità e la spazialità nella temporalità. La pittura è questo: capacità di fissare e portare a rappresentazione una relazione complessa tra lo spazio e il tempo e in questo modo cristallizzare in un’immagine il rapporto tra l’umano e  il mondo, ma nello stesso tempo essa è anche la capacità di istituire un luogo, in  cui lo spazio e il tempo possano rimanere aperti a nuove forme e a nuove possibili interpretazioni.  Nel caso della pittura di Sonia Ros non è però il tempo storico o la spazialità oggettuale che vengono sollecitati e ricercati, ma un tempo particolare, caratterizzato dalla forza del desiderio e dall’eccesso di senso che nasce dall’incontro tra i corpi e le cose. Tutta la ricerca e la poetica dell’artista è improntata, infatti, da una tensione verso la dimensione “qualitativa” della temporalità, non è il suo, pertanto, un gesto artistico che cerchi di restituire la dimensione logico consequenziale  e “quantitativa” del tempo, attraverso una figurazione realista o informale o astratta, ma una pittura che tenta di restituire un “certo tempo” e un “certo spazio” antropologicamente determinati: quelli in cui il desiderio incontra le cose e dà forma ad un mondo, ai corpi che lo abitano e alla rappresentazione ed auto rappresentazione di essi. Sonia Ros è infatti alla continua ricerca del “momento opportuno”, del “momento giusto” da portare a rappresentazione: un momento specifico di un periodo di tempo indeterminato nel quale qualcosa di speciale accade. Ma cos’è questo avvenimento speciale, che l’artista  cerca di portare a rappresentazione attraverso la pittura, se non quello specifico istante, che (nelle sue parole) è caratterizzato dall’incontro tra il desiderio e la realtà. Questo “tempo nel mezzo”, in cui i corpi incontrano le cose o altri corpi, in cui la realtà umana  e il senso prendono forma  non può essere, quindi, che un momento kairotico, che è tale proprio perché definisce l’eccezionalità ontologica dell’accadere. Quel momento in cui l’essere si fa “evento”, come direbbe Martin Heidegger, e che si caratterizza come un “momento opportuno”, come Kairos, in cui l’azione umana o divina si concilia con il tempo in un’epifania dell’essere che dà forma al mondo. Il Kairos è (nel pensiero greco classico) una dimensione qualitativa dell’accadere,  in cui l’azione dell’uomo deve essere compiuta “tempestivamente”, in cui la storia si manifesta in “momenti fondamentali” per l’umanità singola e associata, in cui le crisi evolvono verso la propria soluzione. Questo “tempo opportuno” che, a partire dalla teologia neotestamentaria, assume il valore di momento designato/destinato alla manifestazione dell’azione e della volontà divina, è però in quanto sempre riconosciuto come tale da uno sguardo retrospettivo: è la manifestazione del compimento di un progetto esistenziale, che si dipana nella storia collettiva o individuale,  che permette di tornare con lo sguardo all’origine di quella tensione, da cui l’azione e il progetto sgorgano. In questa prospettiva, “la fine è il proprio inizio”: il compimento individua la genesi, il “momento opportuno” in cui emerge un elemento capace di cambiare il fluire del tempo e il valore assegnato alle cose e solo il manifestarsi “eventuale” di una realtà nuova permette di individuare il momento kairotico in cui essa ha avuto origine: la nascita di Cristo è, in questa prospettiva, l’esempio per antonomasia di Kairos, in quanto lo sguardo retrospettivo sula storia può individuare in esso l’inizio e il compimento di un progetto esistenziale, divino ed extra-ordinario. Kairos è, da questo punto di vista, il “momento appropriato”, in cui dalle pieghe del tempo e dello spazio emerge una nuova realtà: è il momento in cui “l’azione” (umana o divina) incontra la “temporalità” e apre nuovi orizzonti di senso. Questo è il tempo che la pittura di Ros insegue: il momento esatto in cui la realtà umana comincia a prendere forma, il momento in cui la forza desiderante degli uomini incontra la realtà. In quel preciso istante l’io e il mondo prendono forma e si ha un’“epifania del corpo”, che si presenta come un “dispositivo desiderante”, come una “macchina desiderante e metamorfica” capace di includere in sé pulsioni, materia organica e inorganica, che si modella in relazione all’ambiente, padroneggiandolo e trasformandolo in un mondo abitabile e quindi pensabile

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Il tempo e lo spazio del desiderio e “l’epifania del corpo”

 

La pittura di Sonia Ros è una pittura filosofica, interessata ad una fenomenologia del tempo, dello spazio e dei corpi e nasconde un segreto: il segreto costitutivo dell’io e del mondo. La pittura di Sonia è il frutto di questa “epifania” e cerca di restituire in immagini il momento esatto in cui il desiderio incontra la realtà e l’umano -come direbbe Helmut Plessner- prende coscienza di “essere un corpo” e di “avere un corpo”. L’intuizione dell’artista non è solo personale, ma in qualche modo astratta e generale e pertanto filosofica: lei sa che l’incontro dei corpi con la realtà è prodotto da una tensione, che produce un eccesso di senso nel preciso istante in cui i corpi prendono coscienza di sé e dell’ambiente e danno forma a sé e al mondo.

Lo sguardo e il gesto pittorico cercano quindi di immortalare la dinamica profonda di quell’incontro costitutivo dell’ “io” e del “mondo”. Sonia Ros è però una pittrice e non una filosofa, quindi lei non parla, non teorizza, ma dipinge. Pertanto la consapevolezza del momento “kairotico”, in cui il desiderio incontra la realtà, le impone di rendere in immagine un’intuizione filosofica, che lei vive come concreta e non astratta. Per questi motivi, i corpi e la realtà vengono colti nel “momento opportuno”, in cui si incontrano mossi dal desiderio, e sotto il suo sguardo esplodono/implodono e si ri-articolano in creature organiche/inorganiche, fissando in qualche modo l’istante preciso in cui la realtà fa attrito con il desiderio e i corpi, che sono vettori di questa forza desiderante. Questo momento trova figurazione attraverso l’uso del colore, di grandi forme, di immagini anti-narrative ed anti-iconiche, che in maniera poco grafica portano a rappresentazione l’alleggerimento dei corpi, la loro esplosione/implosione e la loro integrazione con l’oggetto del desiderio, sia esso organico o inorganico. Questa pittura viscerale che mette in scena una figurazione densa, attraverso colori, segni, oggetti si presenta come l’evoluzione di fasi precedenti del suo percorso artistico, che da sempre è stato caratterizzato da un interesse per “l’epifania del corpo”. Sonia è una pittrice colta e raffinata in dialogo continuo con la tradizione pittorica, per questo la sua ricerca si è distinta per un’attenzione per la corporeità che è partita dalla figurazione à la Francis Bacon, attraversando un informale che si nutriva del primitivismo di Pinot Gallizio e del gesto di Mathieu, fino ad arrivare a questa specie di “figurazione surrealista”, figlia di una certa pittura/scrittura automatica, che contraddistingue le sue ultime opere. La sua figurazione è  il risultato di un alleggerimento percettivo e cognitivo capace di produrre un universo simbolico sessuato e sensuale, al tempo stesso, cerebrale e viscerale, che mette in scena la corporeità destabilizzata e destabilizzante, riempiendo lo spazio di grandi tele con una continua metamorfosi delle forme, attraverso una pittura priva di volontà rappresentativo realistica, finalizzata ad imporre emozioni e visioni primordiali. Il suo gesto artistico restituisce infatti un evento estetico, un accadere ontologicamente denso, in cui gli oggetti essenziali della fisicità (organi, movenze, elementi tecnologici, piume, peli, ossa…) si articolano in “organismi organizzati e organizzabili”, che danno forma ad apparati anti-naturalistici e labirintici che raccontano dell’incontro e della costituzione dell’io e del mondo. La corporeità è per Sonia Ros uno spazio totalmente esplorabile, un luogo di pulsioni, energia e tensioni, una “macchina desiderante”, che lei analizza e descrive nelle sue parti costitutivamente eterogenee. Sonia Ros ha capito che la realtà custodisce un segreto e che esso può essere svelato dallo sguardo filosofico e dal gesto dell’artista, il segreto dell’epifania del corpo che si dà nel “momento esatto” in cui il desiderio incontra la realtà.

 

Mirabilia: istantanee pittoriche dalla Wunderkammer

 

Il centro della poetica dell’artista veneziana è sempre stato il rapporto tra desiderio e realtà, che lei affronta con una pittura astratto/concettuale capace di rendere in modo anti-naturalistico le forme e le figure del desiderio. Questo processo di alleggerimento e simbolizzazione allusiva restituisce delle istantanee pittoriche di mirabilia alleggeriti ed esonerati dalla necessità della figurazione realista: è come se la realtà fosse per l’artista un’enorme Wunderkammer e lei fosse in grado di restituire in un “patchwork surrealista” lo sguardo sull’insieme di oggetti meravigliosi che essa contiene. In questa prospettiva, gli elementi che formano la realtà interiore ed esteriore vengono colti, nella loro individualità e parzialità, un momento prima di divenire cose percepite e conosciute e ri-assemblati in un bestiario fantastico, che si presenta come la sintesi organica ed inorganica di tutto ciò che produce stupore e desiderio. È come se lei guardasse dal buco della serratura di una Wunderkammer e si girasse verso la tela per dipingere la visione estatica di un insieme di frammenti di realtà, accomunati dal filo rosso del desiderio di un collezionista assetato di forme eccezionali.

Le “camere delle meraviglie” sono, infatti, l’esempio storico di una musealità ingenua ed istintiva, priva di metodo, che sfida tassonomie e classificazioni e che risponde solamente alle logiche del  desiderio e dello stupore. In esse gli oggetti venivano collezionati, senza alcun metodo se non quello di soddisfare il desiderio e le pulsioni di appropriazione del mondo da parte del collezionista. In esse gli oggetti del desiderio erano accatastati  in modo da produrre un godimento estetico capace di rispecchiare lo sguardo del collezionista: i  naturalia (oggetti naturali, piume, elementi eccezionali per forma e colori…) e gli artificialia (particolari oggetti tecnologici), erano raccolti in quanto mirabilia (degli oggetti meravigliosi, capaci di destare stupore), non in quanto elementi di una narrazione utile a raccontare il mondo e la realtà. Questa tensione al soddisfacimento del desiderio, all’accostamento anti-narrativo di oggetti rispecchianti lo sguardo del collezionista è presente nelle figurazioni dell’artista veneziana, che mette assieme elementi geometrici, voluminosità di forme organiche e inorganiche, che contemporaneamente mostrano un “mondo/patchwork”,prodotto dall’attrito tra la forza del desiderio e le cose percepite, e un “teatro del sé”, che si rispecchia nella scelta e nell’assemblamento delle cose. L’antinaturalismo e l’antirealismo che caratterizzano queste forme sono il frutto di una forte consapevolezza post-umanista, che rifiuta l’elemento ordinatore di un “soggetto fondamento” e cerca di restituire la realtà come sintesi relazionale, scomponendola  nei suoi elementi e ricomponendola in forme e figure che sfidano l’idea di limite e separazione tra i vari livelli e campi della realtà.

Sonia Ros è consapevole che la realtà è il frutto di un processo di padroneggiamento percettivo ed interpretativo e che il soggetto che si relaziona con la realtà è un “rapporto che si rapporta” con sé e con l’ambiente. Per questo motivo, le figurazioni pittoriche dell’artista sono come degli autoritratti (il proprio sé messo in scena, mentre si relaziona con il mondo) che lei compone articolando gli oggetti colpiti dalla forza del suo desiderio e dando vita a creature metamorfiche, che vengono restituite alla percezione dello spettatore come in un’istantanea pittorica, capace di incarnare l’universo visionario di un realismo magico, quasi sciamanico. Le gradevolezze ipertonali, la liquida luminosità e la trasparenza dei colori pastello, accompagnate da dissonanze acide e da forme che occupano lo spazio imponendosi su una campitura piena e monocromatica, caratterizzano quadri di grandi dimensioni, in cui forme geometriche e apparati organici si prestano a continue metamorfosi delle forme, frutto di un affinamento linguistico frutto di una tecnica pittorica fuori dal comune. Sonia Ros possiede un segreto, l’epifania del corpo nel momento in cui il desiderio incontra la realtà, e sa che questo segreto si manifesta alla percezione delle persone solo in quell’istante in cui la realtà fa attrito con l’energia vitale del soggetto desiderante. La sfida che lei ha accettato è di dipingere quella tensione e quel momento.

 

Torino-Venezia-Genova, estate-autunno 2013



[1] Cfr. G.Deleuze, F.Guattari, L’Anti-Edipo, Minuit, 1972

[2] Cfr. U.Volli, Figure del desiderio, Corpo, testo, mancanza, Cortina, 2002

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