Dietro al muro dell’arte: il mistero di Banksy – Valerio Francola

A Palestinian boy walks past a drawing by British graffiti artist Banksy near the Kalandia

Osservare le opere di Banksy, scorrendo le immagini senza soluzione di continuità, dà fin da subito l’impressione di essere di fronte a qualcosa di nuovo. Ancor prima di conoscere e approfondire il personaggio si ha la percezione che la cosiddetta Street Art con Banksy raggiunga una dimensione, pur discussa, di autentica arte. Sono diverse le intuizioni dell’artista inglese che suscitano un meritato interesse. Partiamo dalla tecnica dello stencil, utilizzata intensivamente, che diventa uno strumento allo stesso tempo funzionale e simbolico per la Street Art: si tratta di una metodica molto veloce ed economica che ben si presta all’utilizzo da parte di giovani artisti (spesso con pochi soldi in tasca), costretti a esprimersi attraverso un linguaggio illegale. La tecnica si lega inevitabilmente all’altra caratteristica fondamentale dell’opera di Banksy e più in generale della Street Art, la superficie impiegata: è lo spazio pubblico, urbano, architettonico e paesaggistico. Il fruitore dell’opera è il semplice passante, o chi si affacci da una finestra su un palazzo diventato ‘tavola’ o ancora chi, seduto su una panchina di una stazione ferroviaria, aspetti il proprio treno. La città diventa un museo a cielo aperto, tutti siamo potenziali spettatori: Banksy rapisce i passanti inconsapevoli, strappandoli alla loro quotidianità, anche solo per pochi secondi. È in questa incursione nel nostro vissuto che la Street Art trova il modo di sorprenderci, di farci riflettere, sorridere, spesso amaramente. Il messaggio diventa immediato, libero da preconcetti, arriva dal muro grezzo dritto alla componente emotiva di ognuno di noi.

Cerchiamo di capire meglio chi è Banksy. Nasce a Bristol, sesta città più popolosa dell’Inghilterra famosa per la produzione del cartone, probabilmente nel 1974 o 1975. Non si tratta di incertezza di chi scrive, Banksy vincola la sua attività all’anonimato, scoop e informazioni sulla sua presunta identità si rincorrono da anni. In una ‘sedicente’ intervista al The Guardian, fu lo stesso giornalista a domandare alla persona che sedeva di fronte a lui come avrebbe potuto avere la certezza di intervistare il vero Banksy. La risposta fu: ‘You have no guarantee of that whatsoever’, ‘Even his mum and dad don’t know who Banksy is’ e ancora ‘They think I’m a painter and decorator’. L’anonimato è per Banksy in parte una necessità, per poter lavorare serenamente senza incorrere in continue problematiche legali, ma è anche indubbiamente una geniale mossa pubblicitaria. La strategia ha attirato l’attenzione di gente comune e di molti personaggi celebri, affascinati dalla scelta in controtendenza di un artista che decide di rimanere nell’ombra in un mondo dove affermare la propria fama sembra un must. L’anonimato dà a Bansky la libertà di lavorare su qualsiasi tema, senza vincoli di alcun tipo, anche quando vengano trattati argomenti politicamente o eticamente controversi: le rappresentazioni dall’artista infatti ruotano quasi sempre intorno a slogan contro la guerra, anti-capitalistici, anti-establishment e a favore della pace. In qualche occasione anche le opere più ironiche e ‘leggere’ riportano immagini che possono destare reazioni negative, soprattutto quando il fruitore non sceglie di guardare ma è spettatore obbligato (a volte fin troppo giovane …), come già abbiamo accennato in precedenza. Sono un esempio le opere raffiguranti gli organi riproduttivi femminili resi attraverso il naturale sviluppo di una pianta cresciuta lungo un muro o ancora la celebre cabina telefonica piegata e sanguinante di Londra, ferita da una lancia infilzata. Non possiamo pretendere per Banksy quello che nemmeno artisti più ‘tradizionali’ della storia dell’arte hanno avuto, e cioè un consenso unanime della critica. A metà tra l’essere considerato infatti un vandalo e l’estremo opposto, ovvero un rivoluzionario impegnato nello stravolgimento dello status quo culturale (si veda il murales in cui gli attori di Pulp Fiction impugnano banane invece di pistole), la carriera di Banksy è una escalation di idee radicali.

Uno dei Rats apparsi nelle strade di Londra

Prima di tutto i famosi Rats, apparsi per la prima volta nelle strade di Bristol, per poi invadere anche le vie di Londra, New York e Parigi; i Rats sorreggono cartelli con messaggi tra i più svariati, da ‘we are all fakes’ a ‘you lie’, fino al simbolo della pace. Ma sono rappresentati anche impegnati nell’utilizzare oggetti per loro ‘inusuali’ come macchine fotografiche, ombrelli o armi. Il soggetto dei topi è stato scelto in quanto si tratta di esseri odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà. ‘Se sei piccolo, insignificante e poco amato allora i topi sono il modello definitivo da seguire’, ha affermato l’artista stesso.

L’attività di Banksy non si ferma soltanto agli spazi aperti, anche sedi istituzionali diventano oggetto delle incursioni del writer inglese. Tra le sale dei più apprezzati musei internazionali si sono trovate ‘stranezze’ senza precedenti: aggiunte di elementi palesemente contrastanti con le opere originali (oggetti contemporanei, personaggi che fuoriescono dal quadro etc.). In alcuni casi i musei hanno deciso di mantenere l’opera ‘abusiva’ nella propria collezione permanente: emblematico è il caso della piccola tavoletta ‘primitiva’ raffigurante una figura umana stilizzata a caccia mentre spinge un carrello della spesa, ancora visibile nella Galleria 49 del British Museum.

Sono soltanto alcuni esempi importanti di idee che hanno reso Banksy sempre più conosciuto a livello internazionale, non solo per il suo profilo satirico e umoristico ma anche per performance dalla valenza ideologica importante: nell’agosto del 2005 l’artista ha realizzato 9 murales lungo il muro che Israele ha eretto lungo le zone di Betlemme, Ramallah e Abu Dis (Cisgiordania). Si tratta di ‘squarci’ realizzati con la tecnica del trompe l’oeil che permettono di ‘guardare’ al di là del muro, talvolta insieme a figure di adolescenti, vittime di un sistema che non li tutela a sufficienza.

Banksy rielabora immagini molto note: la fotografia che ritrae la disperazione di Kim Phúc durante la guerra del Vietnam. La bambina è tenuta per mano da Mickey Mouse e Ronald MacDonald.

Pur tra diverse difficoltà Banksy, molte delle quali emerse chiaramente ripercorrendo opere e temi dell’artista, continua a lavorare seguendo il suo metodo. Non importa se un anonimo writer nel 2010 oscura la sua reinterpretazione della Santa Teresa del Bernini, raffigurata con in mano delle patatine e un panino in via Benedetto Croce a Napoli; o ancora non importa se l’ex sindaco di New York, Michael Bloomberg, nel 2013 ha definito i graffiti ‘segni di decadenza’ riferendosi al lavoro che Banksy stava portando avanti riqualificando i muri di diversi quartieri di New York, da Staten Island all’Upper West Side; e ancora non importa essere corteggiati da potentissime multinazionali. Anche di fronte a tutto questo e forse anche grazie a molte delle difficoltà che ha dovuto affrontare, Banksy segue senza interruzione, con decisione e convinzione, il suo percorso. Possiamo plausibilmente considerarlo come colui che ha elevato la Street Art a livelli impensati prima, a dispetto di quanti hanno sempre considerato questa forma d’arte come l’espressione metropolitana del malessere di minoranze etniche anglo-americane.

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