Api secche su una torta

nell’antro alchemico di Joseph Beuys
Joseph Beuys e l’arte magica della performance

poesia 

Joseph-Beuys1Joseph Beuys è stato un pittore, scultore e performer tedesco della seconda metà del Novecento. Nacque a Krefeld il 12 maggio del 1921 ma fu di fatto cittadino della vicina Kleve della quale si dichiarò sempre originario.

La regione del Basso Reno con le sue pianure, miti e leggende, esercitò una profonda influenza su Joseph Beuys già dai primi anni dell’infanzia. Dal 1056 la cittadina di Kleve fu anche sede degli omonimi conti i quali facevano risalire le origini del loro nobile casato al mitico Lohengrin, il Cavaliere del Cigno che la leggenda medievale vuole figlio di Parsifal, il re del Graal. Che Beuys avesse una particolare predilezione per i cigni emerge infatti fin dai suoi primi disegni. Kleve e i suoi dintorni offrirono all’artista anche altre fonti d’ispirazione e conoscenza. Soprattutto ci aveva vissuto il barone Anacharsis Cloots, nato nel 1755 e poi ghigliottinato a Parigi per ordine di Robespierre nel 1794 in seguito all’accusa di essere un agente straniero e di avere tradito gli ideali della Rivoluzione. Beuys, che da bambino giocava spesso davanti al Castello di Cloots, sviluppò per quest’uomo un’adorazione fuori dal comune e s’identificò in lui a tal punto che per un periodo arrivò a farsi chiamare Joseph Anacharsis Clootsbeuys. Anche il paesaggio del Basso Reno rappresentò una miniera di spunti per Beuys. Ricordava spesso che negli anni dell’adolescenza andava in giro come un pastore di pecore, con un gregge immaginario e un bastone vero dall’estremità ricurva che nelle sue azioni artistiche future sarebbe poi diventato il famoso Bastone Eurasiatico (Eurasian Staff).

Durante le avventure all’aperto vissute da ragazzino tra i boschi e le campagne della sua regione, Beuys imparò a conoscere piante, erbe, alberi, arbusti, funghi, insetti e animali. Annotava le sue osservazioni sui quaderni e arrivò ad allestire una collezione botanica in casa dei suoi genitori, a Kleve, dove ospitò anche un piccolo zoo. Era sempre a caccia di topi, ratti, mosche, ragni, pesci e rane. Insieme ai suoi compagni di gioco costruiva tende e persino labirinti sotterranei nei quali collocava le sue prede. A queste intense e formative esperienze giovanili Beuys fece poi risalire alcune figure della sua opera successiva come Gengis Khan e Il Capo dei Cervi (Hirschfuhrer).

Durante la Seconda Guerra Mondiale fu coinvolto in un terribile incidente aereo che lo portò quasi a perdere la vita. E proprio perché in guerra vide la morte in faccia più di una volta, da artista potè farne un tema (ma sarebbe meglio dire il filo conduttore) delle sue opere. L’incidente aereo in Crimea nell’inverno del 1943 lasciò senza dubbio il segno più indelebile su Joseph Beuys e la sua produzione artistica. Nell’impatto con il suolo Beuys venne scaraventato fuori dall’abitacolo e rimase incastrato sotto la coda dell’apparecchio, perdendo conoscenza. Il compagno che era in missione con lui morì sul colpo. E’ un miracolo che Beuys sia sopravvissuto. Lo dovette a un gruppo di tartari nomadi che, nel corso di una transumanza, lo trovarono nella neve alta tra i rottami dell’aereo. Era privo di conoscenza e gravemente ferito. I pastori lo portarono in una delle loro tende e per otto giorni, la maggior parte dei quali trascorsa da Beuys in stato d’incoscienza, lo curarono amorevolmente con i loro rimedi tradizionali, gli unsero le profonde ferite con grasso animale, lo avvolsero nel feltro affinchè si riscaldasse e trattenesse a lungo il calore. Lo nutrirono con latte e formaggio fresco. Così Joseph Beuys si salvò e non avrebbe mai dimenticato le immagini evocategli dalla vita tra i tartari che trasformò a modo suo in diverse azioni, tanto che grasso e feltro divennero i due materiali principali delle sue sculture.

Tornato a casa in Germania circa un anno dopo, Beuys aveva preso ormai da tempo la decisione della sua vita: studiare l’Arte. E scegliendo gli studi artistici si ripromise di far saltare i confini stessi dell’arte soprattutto attraverso i tre concetti-cardine della sua teorizzazione estetica: il concetto di arte ampliata, il concetto di controimmagine e il concetto di scultura sociale. Frequentò l’Accademia di Belle Arti di Dusseldorf della quale sarebbe poi diventato professore di scultura. Amò profondamente gli animali dei quali prendeva in considerazione soprattutto la vulnerabilità e il costante rischio di sopravvivenza al quale sono sempre sottoposti.

Joseph Beuys si spense a Dusseldorf il 23 Gennaio del 1986. Aveva 65 anni. La sua ultima mostra, inaugurata circa un mese prima, ebbe luogo a Napoli al Museo di Capodimonte. S’intitolava Palazzo Regale e fu, in sostanza, l’allestimento che Beuys fece del proprio monumento funebre, un vero e proprio mausoleo che possiamo anche vedere come il suo personale Castel del Monte federiciano nella città che egli amò sempre al di sopra di ogni altra: Napoli, appunto. Il Palazzo Regale non era altro che la testa dell’artista stesso che, come quella di ogni altro uomo, è per tutti il vero Palazzo da conquistare e abitare con dignità. “Ogni uomo – diceva Beuys – è un sovrano. Ogni uomo è un Re Sole”. Già parecchio tempo prima della sua mostra-testamento, Napoli era assurta al rango di sua città elettiva, il Mezzogiorno d’Italia a sua nazione ideale e Foggia a capitale. Alla città pugliese era infatti rimasto particolarmente legato sin dalla Seconda Guerra Mondiale quando, giovane mitragliere della Luftwaffe in attesa di essere spedito al fronte, aveva avuto modo di esplorare e innamorarsi dei paesaggi del Gargano e di conoscere una terra e una gente che lo rassicuravano. Foggia era per lui il luogo in cui tutto era necessariamente felice. Uno degli ultimi desideri dell’artista fu proprio quello di donare l’intera sua collezione alla città pugliese per farne un museo. Purtroppo il progetto non andò mai in porto.

Nel corso della vita l’artista renano ripetè più volte che le sue opere non avevano a che fare con i simboli ma semplicemente con i materiali. Anche per questo motivo, probabilmente, guardò sempre con scetticismo a ogni interpretazione critica della sua opera. Ognuno è dunque libero di confrontarsi come vuole con il mondo magico dell’arte di Joseph Beuys.

Occorre far saltare le camere di piombo politiche, sociali e personali. Ossia uscire dall’isolamento crescente. Quello di cui abbiamo bisogno – disse una volta Beuys – è calore”. Lo trovò in Italia.

beuys-come-spiegare-a-una-lepre-morta-larteNel 1965 a Dusseldorf Joseph Beuys mise in scena una performance, o azione artistica, con un titolo affascinante e misterioso: Come spiegare i Quadri a una Lepre Morta. Vediamo un uomo, l’artista stesso, con il volto coperto da quella che si direbbe una maschera dorata per certi aspetti simile a quella funeraria di Agamennone di arcaica memoria. Si tratta in realtà di una sorta di vernice ottenuta grazie a un primo strato di miele sul quale è stata poi cosparsa una sottile patina di foglia d’oro. L’uomo indossa una camicia bianca e un paio di pantaloni chiari di feltro al quale ha abbinato un gilet da pescatore dello stesso colore. E’ seduto e tiene in grembo una lepre morta. Il miele è sostanza spirituale per eccellenza e rappresenta un potente agente mercuriale in grado di disgregare l’identità cristallizzata e fossilizzata del soggetto e di ricondurla a una condizione amorfa, primigenia e altamente ricettiva. Dunque favorisce la regressione a una condizione embrionale. Il feltro, anch’esso materia organica incerta e liminale, svolge una funzione analoga di potente isolante termico ed energetico. Il carattere alchemico e trascendente insito nell’oro è noto.

Durante la rappresentazione l’artista dà vita all’animale facendolo camminare, parlandogli teneramente e illustrandogli i quadri della galleria d’arte in cui si trovano come se fossero gli alberi di un bosco. Il pubblico assiste alla performance da dietro un vetro come se guardasse dentro la teca di un museo. Cosa significa tutto questo? Molto probabilmente si tratta di una sorta di cerimoniale di offerta della preda agli invisibili ma onnipresenti spiriti della Natura (dell’Arte, in questo caso), suoi legittimi proprietari, così da placarne l’ira. Una pantomima, dunque, un rito arcaico di camuffamento che ripercorre l’evento sacrilego della morte dell’animale nella versione occultata della farsa e del ribaltamento della realtà. L’autore-performer cerca di negare il dato reale dell’uccisione della lepre nel tentativo di eliminare, o almeno rimuovere, il senso di colpa che lo attanaglia e così da stornare da sé la giusta punizione che gli spetta. In altre parole, tenta di sviare le responsabilità morali che è chiamato ad assumersi incaricandosi egli stesso del ruolo di vittima sacrificata, la lepre morta, in uno scambio di ruoli e identità tra essere umano ed essere animale tipico delle società tradizionali di cacciatori nomadi e dello sciamanesimo asiatico in particolare. Il tema della metamorfosi animale è infatti caratteristico di queste antiche civiltà della steppa.

joseph-beuys-e2809ci-like-america-and-america-likes-mee2809d-performance-1974-6Nove anni dopo, nel 1974, a New York Joseph Beuys diede luogo a un’altra azione artistica destinata a diventare leggenda nella storia dell’arte della performance: I like America and America likes Me. Si tratta della rappresentazione di un viaggio iniziatico nel regno dell’Aldilà attraverso una regressione estatica in una dimensione animale ancestrale. Come nell’opera precedente, l’artista si trova ad agire in uno spazio appartato e separato dal pubblico. Un luogo altro, parallelo e remoto, delimitato da una rete metallica a contrassegnare un’area sacra propizia alla celebrazione di un rito, come un’ideale iconostasi. Cerchio magico e  sfera d’azione degli spiriti all’interno della quale Beuys e un coyote, il coprotagonista dell’azione, si muovono l’uno in funzione dell’altro. La performance, infatti, è giocata interamente sulla possibile interazione fra l’uomo e l’animale che, in ultima istanza, può portare al capovolgimento stesso dei ruoli e allo scambio d’identità fra i due protagonisti. Il coyote, emblema di una realtà altra per eccellenza, è un animale selvatico che in molte civiltà native del nord America e non solo (presso gli Etruschi, ad esempio, era proprio un lupo a condurre le anime dei morti nell’Oltretomba) possiede importanti valenze magiche. Il coyote è dunque l’incarnazione perfetta dell’elemento anarchico e disordinato del mondo. Rappresenta quell’imponderabile quanto insopprimibile aspetto della realtà capace di minare alle fondamenta ogni forma di regola e assetto costituito. Di ricondurre tutto al caos primigenio, insomma, in cui ogni cosa prende vita e rinasce all’infinito. In questo senso l’animale viene percepito come un pericolo pubblico, minaccia costante per la comunità e il vivere civile, antieroe sempre allontanato ed emarginato per definizione. Ma proprio quest’eterno esiliato e diseredato della società può misteriosamente trasformarsi nel momento risolutore di salvezza e rigenerare l’Universo ex novo. Joseph Beuys. Multiples 1968 - 1980 1980 by Joseph Beuys 1921-1986Il manto di feltro che avvolge per intero la figura dell’artista durante la performance è come un bozzolo informe che lo rende simile a un’entità magmatica amorfa e che ha la funzione (come il miele e l’oro nell’azione precedente) di ricondurre il neofita iniziato al rito a una dimensione primordiale e preformale. Il bastone dall’estremità ricurva come un pastorale, infine, è il cordone ombelicale cosmico che unisce l’uomo all’animale. Strumento magico di comunicazione simile a una sonda spaziale, il bastone è il canale, il veicolo che lo sciamano Beuys utilizza per accedere a quei livelli superiori della Natura in cui risiedono il lupo, gli spiriti e le forze celesti che li presiedono.

Le informazioni biografiche su Joseph Beuys sono state liberamente tratte dal testo di Heiner Stachelhaus “Joseph Beuys. Una vita di controimmagini”. 2012, Johan & Levi Editore.

Per la descrizione delle due opere di Joseph Beuys presentate in questo articolo, invece, si è fatto costante riferimento al testo di Martino Nicoletti “L’Uomo che dialogava con il Coyote”. 2011, Edizioni Exòrma.

 

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