Il volto si fa triplice, nel figlio, nella madre e infine nella propria identità, che tuttavia a sua volta si sdoppia allo specchio, come scomposta dal peso dei baci e delle rughe attraversate.
Trilogia che biforca e solletica il marmo. Dove scuote la dea, la poesia de Ladimorascarlatta.
Il volto del figlio
Baci di vetro
Scappiamo via
da questo gioco feroce
siamo rimasti soli
io e te
a tratteggiare
senza alcuno congegno
i nostri volti incredibili
fuggiamo dal bisogno
dai perimetri noti
con ciglia piene di notte
che si aprono su iridi d’altri mondi
privi di senso
la velocità orbitale dei nostri corpi
spargerà fragranze sconosciute
ci scambieremo baci di vetro
fragili e delicati
su bocche
rimaste immobili
Il volto della madre
Intorno agli occhi
Non comprendesti il rifiuto
del viso duro
dell’indifferenza
lo sguardo bianco e gelido
di ghiaccio
l’ ipocrisia
della sceneggiatura
cantavi
melodie partenopee
con voce forte e chiara
e mai dicesti
sul talamo
le bambole spagnole
sull’anima
il broncio da bambina
non esci, non ritorni,
non rimani,
non ti portano indietro
le tue rughe
intorno agli occhi
la mia malinconia
Il mio volto
Allo specchio
Mi osservo
mi analizzo
e mi conforto
mi vaglio mi verifico
mi dolgo
vorrei che la mia faccia
fosse bella
con guance tonde lisce
e imbarazzate
occhi cigliati e labbra da bambina
denti di perla
e fronte sbarazzina
il naso, devo dire,
non è male
ho sopracciglia, poi,
che s’alzan lievi
sotto la chioma rossa
dei pensieri
come gabbiani
stanchi e forestieri
pronti a partire
e mai più tornare
la voce è forte, anzi, dominante
e obbliga all’ascolto col suo dire
affabula confabula parlotta
cerca la chiosa
cerca la cadenza
trova paletti muri spranghe sbarre
morde consuma logora e traspira
sputa l’eterno
sputa la fatica
ondeggia sul dirupo
scorre la vita
scorre la vita
linea sul mio palmo
tela di ragno sotto gli occhi fieri
scivola via
si slaccia e si scompone
scuote la dea
nascosta dentro al marmo.
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