
Già solo a evocarne il nome, assumiamo atteggiamenti che sembrano confermare, contro ogni revisionismo, la teoria evoluzionista: ghigni scimmieschi e grattate sconce sono quasi un riflesso condizionato. Eppure, LEI è ovunque, tanto che qualche illustre filosofo le ha conferito un primato logico-ontologico sulla vita.
Le ardite metafore, come quella che tenta disperatamente di erotizzarla, così come le innumerevoli elucubrazioni, più o meno drammatiche, che culminano nell’idea che sia essa la porta per accedere alla vita eterna, sono probabilmente soprattutto la manifestazione non semplicemente di un disagio, ma di quello che potremmo chiamare IL Disagio radicale. E poiché l’arte, si sa, si nutre di disagi, di fronte a tale radicalità è in prima linea nel rappresentarla… la morte.
Naturale o indotta, imprevista o premeditata nei più turpi dettagli, tragica o tragicomica, ritorno allo stato primordiale di materia organica o inizio di un viaggio ultraterreno connotato di molteplici valenze.
Come fine o inizio, come eros o deserto, come inferno o paradiso, e così all’infinito. l’infinito di una faccia, mille facce, andare avanti o persino a ritroso, mutare pelle, morire a se stessi e rinascere come nuovi animali: pelle morta di serpente, carne viva di mutato aspetto.
Ma, anche fosse irrappresentabile, non abbiamo il diritto, in quanto mortali, di evocarla?
Diwali propone un numero altamente Noir, con scadenza per l’invio dei materiali fissata al 28 Febbraio 2017.
Potete inviare i vostri contributi letterari, fotografici, multimediali, Contaminati, all’indirizzo di posta abituale diwalirivistacontaminata@gmail.com
Scultura di Hedi Xandt