Ho sempre sognato di viaggiare vagabondando senza una meta concreta se non quella della vita, della sorpresa, della noia da meditazione, della speranza e dell’aspettativa, del senso di scoperta e di conquista, di sguardi di un secondo, conversazioni di un minuto senza il tempo per i tradimenti e per le fedeltà sofferte, doverose, assaporando già il gusto di un malinconico e sognante addio senza rancori, solo luce negli occhi prendendo un altro treno, magari un treno merci, al volo, come Woody Guthrie. Per questo, forse, non riesco a legarmi, a prendere impegni, a programmare. Aspetto sempre un treno, uno sguardo, un gesto, un’occasione che mi porti via, che mi porti dove devo arrivare.
Non è il gusto del nuovo, non la voglia incontrollata di provare, ma un senso di non appartenenza, un senso di non piena approvazione, un istinto da non spiegare che porta il mio sguardo a vagare altrove. Così mi autocondanno a un nomadismo mentale per mantenermi vivo, per salvarmi e non soffocare in questo mare denso di viscose ideologie e superficiali e facili verità parziali.
In fin dei conti son fotografie…
Pietro Bomba
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