La tentazione è forte per chi crede di scalare le vette più alte, di accomodarsi sulla cima. E di limitarsi a guardare, magari con sdegno compiaciuto, le lacrime a valle. Nell’illusione che la distanza guadagnata con l’altezza metta al riparo da ogni responsabilità terrena.Ma il XX secolo l’ha mostrato in tutta la sua drammaticità. L’arte non può cancellare la propria costituzione nello spazio sociale, così come non può ignorare gli effetti che produce in questo stesso spazio. Ignorando le proprie radici mondane e il proprio potere reale, l’arte non fa altro che rendersi complice di ciò che accade. Dopo l’immane tragedia delle due guerre mondiali, l’artista sa bene che limitandosi a guardare, appone la sua firma ai decreti del potere. E la sua responsabilità non si riduce alla generica implicazione nelle faccende umane che riguarda tutti noi dal momento in cui veniamo al mondo. Se una volta nati non possiamo più nasconderci, per l’artista questo va inteso in un senso specifico. L’arte lavora sull’immaginario, contribuisce a forgiare quel sistema di rappresentazioni attraverso il quale agiamo nel mondo. È anzi questo sistema a fare da fondamento alla prassi politica. Le immagini sono dunque molto più di un piacere estetico. Ogni singolo tratto che l’artista vi aggiunge, è nella sua essenza un’azione politica in potenza. In questo numero di Diwali abbiamo raccolto contributi di artisti che non si illudono che l’aria rarefatta della creazione metta al riparo dalle raffiche del vento delle lotte, e che prendono per questo sul serio il potere di ogni singolo tratto che disegnano.
Diwali – Rivista contaminata
Lascia un commento