L’éditorial

 

W small

 

Non si può giudicare il proprio tempo, certo, e non sta a noi stabilire se stiamo davvero assistendo al passaggio dell’umanità verso una nuova era. Non c’è tuttavia alcun dubbio che la nostra percezione del mondo stia cambiando, e anche velocemente, almeno a partire dalla fine del XX secolo; al cuore del cambiamento, che alcuni interpretano come una vera e propria mutazione antropologica, troviamo quello che sembra essere un semplice mezzo neutro di diffusione di contenuti e che invece rivela sempre più la propria capacità di incidere sui contenuti stessi, un mezzo che stabilisce anche i fini, che decide il valore di ciò che vorrebbe limitarsi a veicolare e che ha il potere di snaturare – se non di svuotare – il senso dell’interazione tra gli uomini. Stiamo parlando naturalmente di internet, della rete, dei suoi effetti sulla produzione umana, segnatamente nella sua forma artistica.

Siamo, qui sì, confrontati ad una fase di transizione, nella quale vediamo convivere forme classiche di selezione/diffusione dell’opera d’arte, accanto alla crescita di un processo di fruizione-produzione artistica radicalmente diverso che sembra svilupparsi secondo il modello della rete, il quale oppone un piano orizzontale al vecchio impianto gerarchico il cui sviluppo avveniva lungo una linea verticale. La nuova orizzontalità nella quale si dispiega l’azione di internet, che pure ha potuto per un breve momento lasciar sperare in un’occasione di democratizzazione dell’accesso all’arte, riproduce in realtà dinamiche di esclusione ancora più feroci di quelli messe in atto dalle istituzioni prima preposte a lanciare carriere, coronando successi e lasciando cadere damnatio memoriae. Dietro l’apparenza di una nuova libertà – peraltro continuamente minacciata da tentativi reiterati di recinzione – si nascondono meccanismi di disciplinamento per mezzo di format imposti, dai quali piovono bombardamenti pubblicitari che riconducono di fatto la rete potenzialmente infinita alla natura essenzialmente finita del mercato. Ma soprattutto, negli spazi ancora oggettivamente liberi della rete, la soggettività in generale, e ancor più quella artistica, sono di fatto mortificate precisamente a causa del carattere orizzontale del piano sul quale vengono disposte e nel quale finiscono per dissolversi, scivolando nel vuoto piuttosto che incontrandosi tra loro produttivamente. Insomma, siamo costretti a riconoscere che, se pure rimane un piano orizzontale ancora non disciplinato, esso produce in effetti una dissoluzione delle sue proprie potenzialità: crediamo che sia necessario quanto prima agire affinché, piuttosto che dissolversi, queste soggettività possano produrre incontri produttivi.

Diwali – Rivista Contaminata intende dare il suo contributo per tracciare delle linee sul piano orizzontale della rete, per ridisegnare i confini in grado di scongiurare lo scivolamento nell’indifferenza reciproca caratteristica degli incontri illusori, che si annullano nell’istante stesso in cui si producono nella rete, proprio per il suo carattere apparentemente illimitato. Il limite è cioè per noi al più altro grado produttivo, da sempre prima condizione di possibilità di ogni forma d’arte, che è per l’appunto innanzitutto forma.

Equivale forse a esporsi a un paradosso il voler riprodurre delle linee che “informino” la fruizione e la produzione d’arte nella rete, desiderando allo stesso tempo conservarne le potenzialità di sviluppo della libertà della creazione artistica?
Crediamo che a questo riguardo la sfida consista nell’attenersi al limite, questa volta inteso come confine, tra il grado zero dell’arte e la sua possibilità di esistere come forma necessariamente limitata. Il movimento Dada, che non è un movimento e che si chiama con un nome che intende non essere un nome, è stato forse il più radicale tentativo di attraversare quel limite, di tenere alta la produzione artistica nel costante pericolo di annullarla come arte.
È infatti su questo tipo di confine che Diwali vuole assestarsi: all’altezza dell’arte nella sua tensione costante e necessaria verso il proprio grado zero, che solo consente di mettere radici su un terreno capace di alimentare nuovi frutti.
Non ci esponiamo pertanto ad alcuna contraddizione nell’affermare che è proprio proponendoci come canale di riassegnazione di limiti alle opere che vogliamo preservarne la libera espressione e diffusione. Strappandoli all’indistinto fluire, intendiamo restituire agli artisti quella visibilità che altrimenti l’illusoria libertà di internet negherebbe.
In altri termini, ci proponiamo di aprire la strada a un processo di riappropriazione dei dispositivi di diffusione dell’arte nella rete, riaffermando con forza la necessità di una selezione nelle forme dell’espressione, esibendo dunque la produttività del limite per strappare l’arte all’indifferenza e a quei meccanismi di disciplinamento che sono tanto più discriminatori quanto più sono celati.
Dada, quindi, per ripensare il limite come confine creativo, come possibilità di incontro tra produzione e fruizione dell’arte, come punto di emergenza dell’ineluttabilità della forma, resa ancor più necessaria dallo spirito di un’epoca in cui l’illusione della disposizione libera e autonoma delle attività umane serve in realtà un più che mai efficace e costringente potere disciplinare.
Presentare una raccolta di saggi, poesie, foto e video ispirati al tema “Cos’è Dada” significa quindi tendere al massimo i due poli, attraverso una selezione di ciò che si sottrae per definizione a ogni giudizio, e l’esposizione di ciò che, provenendo dalla rete, per definizione non ha bisogno di vetrine. Interrogare tale tensione, nella pratica della messa in forma sul piano orizzontale della rete, riassume l’intento, puntuale e ambizioso, che Diwali si propone.

  

Diwali – Rivista Contaminata


  

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*