Diverse sono le vie: che diverse dunque siano.
Echi, suggestioni: quasi-segni.
O forse tracce, che nascoste suggeriscono il cammino.
Sottotraccia, quindi, sintomi di qualcosa.
Cosa qualechessia, ma nondimeno determinata, cui possono corrispondere molteplici “devianze”.
Il trauma, ecco la chiave che apre il cancello per questo numero di Diwali.
Per deviare dal sentiero che dal sintomo conduce alla cosa, e per sviare l’Analista che fiuta il sentiero, mentre il sentiero disegna. Staccando i punti che uniscono la linea-viatico che avevamo con tanta cura costruito (l’Analista alberga in noi), possiamo infine deviarci?

Il trauma è innanzitutto una ferita.
Come lesione, fisica, inferta, ma senza autore: concentra lo sguardo sull’oggetto, sulla passività dell’evento, sul fatto subìto, lasciando nell’ombra l’atto, l’attore, e finanche l’azione.
Solo presupposta ma non designata, l’attività scompare nella passione.
Il trauma può dunque anche evocare l’impotenza di fronte all’irrompere di una forza esterna, di un corpo estraneo. Come vettore della passione, quindi, o come ciò che indica il nostro essere inermi di fronte a ciò che sfugge alla previsione, oltre che al nostro controllo.
A volte qualcosa rimane incastrato tra il colpo inferto e il nostro dolore, un singhiozzo dell’anima che impedisce alla lesione di trasformarsi in passione volta all’azione.
È come passione, e non solo come passato, che il trauma ritorna, fantasma protagonista di un incubo ricorrente, che ha il sapore dell’infanzia incastrata tra l’obbedienza e il riscatto.
È così che il trauma può esser anche fonte di rinnovata energia: l’arte, in fondo, è anche un canale per districare quel bambino che dal colpo inferto vuol guarire, almeno, finché dura l’eco di quel primigenio singulto.
Diwali – Rivista contaminata
Lascia un commento