
La natura ti invita ad una pietrificazione profumata e aerea, a un’estasi senza lacrime, ad una voluttuosità di ricordi di un altro mondo. E non ti senti più legato a nessun oggetto, e non puoi più credere in niente se non nel tuo distacco dal mondo.
Nichilismo e natura, Emil Cioran
Vedere è un’azione a distanza. E ciascuna delle arti adopera un apparecchio di proiezione che allontana le cose e le trasfigura. Nel suo schermo magico le contempliamo come esiliate, inquiline di un astro irraggiungibile e assolutamente remote. Quando manca questa “disirealizzazione”, si determina dentro di noi un’esitazione fatale: e non sappiamo se viverle, le cose, o contemplarle.
La disumannizzazione dell’arte, José Ortega y Gasset
Sono esattamente questi concetti che ispirano questa serie.
La serie vuole avvicinarsi alla pittura astratta, senza giungere agli estremi di saturazione e de-specificazione del soggetto del lavoro di Franco Fontana né alla magniloquenza bucolica che è propria della fotografia di paesaggio. Partendo dalla natura come soggetto della fotografia, si cerca di astrarla e ridurla attraverso la composizione. Si pretende così di instaurare una fuga dall’elemento naturale tale come ci si offre a prima vista: il paesaggio arciconosciuto; la direzione di questa fuga è completamente opposta a quella che ci porterebbe all’oggetto naturale per interporre fra lei e lo spettatore una distanza contemplativa che obblighi ad una approssimazione diversa dal semplice e diretto riconoscimento. Se Cioran dice il vero, la contemplazione del mondo finirà con l’allontanarci da lui in un processo di oblio di ciò che è presente e di eliminazione dell’accessorio che si contempla e da questo distanziamento della dimensione evidente, l’unico modo possibile di contemplare l’opera sarà a partire dalla dimensione intuitiva.
È una ricerca del sublime e dello spirituale attraverso l’immagine.
Léopoldo Garcia-Castellanos




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